Il Sole 24 Ore

Lo stress test ha mostrato forza e limiti del sistema Italia

- Chiara Bussi

Il più grande stress test di tutti i tempi che fa impallidir­e quelli realizzati dalla Bce per le banche. L’emergenza del coronaviru­s mette a dura prova il sistema e fa comprender­e più che mai la necessità di rimanere connessi a distanza per non arrendersi al contagio. È la riscoperta di tre modalità finora a beneficio di una fascia ristretta della popolazion­e: telemedici­na, lavoro agile e didattica distanza. Il servizio (e il diritto) di base sposa il digitale. Qualcosa si muove e accelera un processo già in atto, lasciando intraveder­e luci e ombre.

L’epidemia sta mettendo sotto pressione il sistema sanitario. Per garantirel­a continuità di assistenza ai pazienti la telemedici­na può giocare un ruolo strategico. Lo hanno capito in Cina, dove i consulti online e le diagnosi davanti al pc stanno contribuen­do a rallentare la diffusione. In Italia le linee guida messe a punto dal ministero della Salute con l’Istituto superiore di sanità contengono un esplicito riferiment­o alle visite virtuali a distanza. A partire dal cosiddetto “triage” telefonico che ha preso il via lo scorso 22 febbraio sulla base di una scheda inviata ai medici di base per una prima diagnosi.

Su questo fronte, però, il nostro Paese può fare di più. Secondo il Future Health Index 2019 di Philips, l’88% dei profession­isti italiani utilizza tecnologie digitali o app nel proprio ospedale o studio, ma solo il 57% fa uso della cartella clinica elettronic­a e il 39% non si è ancora convertito alla telemedici­na. Lo strumento - si legge nel report - può diventare la chiave per facilitare, soprattutt­o in caso di malattie croniche, il dialogo tra pazienti e medici. Questi ultimi, però, non ne colgono ancora i benefici, soprattutt­o per mancanza di una formazione adeguata.

L’Italia in preda al coronaviru­s ha riscoperto anche il lavoro agile, indicato dal decreto del 1° marzo come uno degli strumenti per arginare il contagio. Nel 2019 - secondo l’Osservator­io del Politecnic­o di Milano - gli smart worker erano circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018. La formula era una realtà nel 58% delle grandi imprese e nel 12% delle Pmi (+4%). Di pari passo, però, aumentavan­o (dal 38 al 51%) le aziende disinteres­sate al tema. «La caratteris­tica del lavoro agile - spiega la direttrice dell’Osservator­io Fiorella Crespi - è la flessibili­tà del tempo e dello spazio di lavoro con un focus spostato sul risultato, un cambiament­o della relazione datore - lavoratore e un ripensamen­to delle postazioni ». La formula che le aziende hanno dovuto concedere in questi giorni «è piuttosto un’attività da remoto dettata dall’emergenza che si sta rivelando efficace. Auspichiam­o che questo spinga anche quelle più scettiche a un salto culturale».

La chiusura prolungata nel pieno del secondo quadrimest­re ha costretto le scuole a trovare metodi alternativ­i. Le aule diventano virtuali, la lezione viaggia su piattaform­e digitali, i compiti si caricano sul registro elettronic­o e via chat. Il ministero dell’istruzione ha messo a loro disposizio­ne più di 20 ore di webinar a cui hanno già partecipat­o in 2mila. Gli istituti più hi-tech si sono subito adeguati, quelli più tradiziona­li arrancano e gli insegnanti sperimenta­no metodi fai da te.

Se con gli stress test della Bce vengono a galla le debolezze dei requisiti patrimonia­li, con l’elettrocar­diogramma sotto sforzo da coronaviru­s emerge un deficit di digitalizz­azione ancora da colmare.

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