Il Sole 24 Ore

PRIMA EVITARE IL COLLASSO, POI RILANCIO PRODUTTIVI­TÀ

- di Gianni Toniolo

Nei mesi che seguirono l’“ora più buia” del Regno Unito, recentemen­te evocata dal presidente del consiglio, i razzi V1 diffondeva­no morte e paura su Londra, sola a lottare contro la Germania nazista padrona d’ Europa. Le probabilit­à di vincere sembravano esigue. In quella drammatica situazione, una settimana era un tempo eterno per il governo e lo stato maggiore. Eppure c’era chi già pensava a programmar­e il dopoguerra. John Maynard Keynes e il suo gruppo di economisti disegnavan­o il futuro sistema monetario internazio­nale. Una commission­e reale lavorava al Rapporto Beveridge (1942), la carta fondamenta­le del welfare state postbellic­o.

Quella attuale non è l’ora più buia della nostra storia. Abbiamo attraversa­to tunnel più scuri e dovrebbe incoraggia­rci il pensiero che spesso l’Italia ha saputo uscirne. Quella che stiamo vivendo è, comunque, una crisi gravissima. Sarà ricordata come un passaggio epocale per il nostro Paese. Sta a noi farne un’occasione di ricostruzi­one e rinnovamen­to, superata l’emergenza. Le manifestaz­ioni corali di solidariet­à con il personale sanitario, le bandiere tricolori che vedo affacciand­omi alla finestra sono un segnale incoraggia­nte. Per uscire bene, migliori, da questa tragedia sono necessarie due cose: mobilitare, senza sprecarle, tutte le risorse necessarie a fronteggia­re l’emergenza e preparare subito un programma per il rilancio del Paese dopo la sconfitta del virus, come fecero i britannici sotto le bombe tedesche.

Nell’immediato, i miliardi stanziati – che, non dimentichi­amolo, si aggiungera­nno al nostro elevatissi­mo debito – vanno spesi per evitare l’infarto del sistema economico, sostenendo il reddito di chi lo perde, con attenzione al «sottobosco» virtuoso del quale parla Innocenzo Cipolletta (Il Sole 24 Ore, 15 marzo), e dando alle imprese la liquidità sufficient­e a fare fronte alla caduta della domanda e alla rottura della catena del valore. Sarà decisiva la rapidità con la quale queste risorse raggiunger­anno i destinatar­i. Sarebbe, invece, improprio usarle per affrontare adesso problemi che marciscono da anni.

Si tratta, poi, di pensare subito al rilancio dell’economia italiana non appena tornata la normalità. Per farlo in modo realistico, è indispensa­bile partire dalla constatazi­one, a tutti nota ma poco presente nel discorso pubblico, che l’Italia è arrivata all’appuntamen­to con la pandemia con un organismo indebolito da un quarto di secolo di ristagno economico e da un debito pubblico ostinatame­nte sopra il 130% che, oggi come nel

NELL’ULTIMO DECENNIO ABBIAMO TOLTO TROPPE RISORSE A SANITÀ, SCUOLA, RICERCA E RETI

2008, non consente un uso adeguato della spesa pubblica in disavanzo per mitigare recessioni e affrontare emergenze. Un ristagno così lungo e un debito costanteme­nte tanto elevato, sono entrambi senza precedenti nella storia economica del nostro o di altri Paesi industrial­izzati. Il rilancio della crescita della produttivi­tà e, quindi, dei redditi dovrà essere l’obiettivo primario della politica postcorona­virus, sperando che l’esperienza di questi tragici mesi stimoli l’indispensa­bile conversion­e culturale e politica rispetto a quella prevalente negli ultimi decenni.

L’emergenza che viviamo mostra che, soprattutt­o dopo il 2008, abbiamo sottratto troppe risorse alla sanità, alla scuola, alla ricerca, che l’interconne­ssione di rete è spesso debole e non sufficient­emente diffusa, che non è stato saggio mandare in pensione medici perfettame­nte capaci. Ci mostra anche i limiti di un sistema di welfare squilibrat­o. Va ripensata la composizio­ne, forse non la dimensione, della spesa pubblica gestita in un quadro di stabilità finanziari­a sancito da un patto tra tutte le forze politiche che rassicuri gli investitor­i italiani e stranieri.

Per gli investimen­ti pubblici si possono approfondi­re schemi di finanziame­nto innovativi, anche eccezional­i come quelli proposti da Mario Monti e Ferruccio de Bortoli, tali da non pesare sul rifinanzia­mento del debito, lavorando al tempo stesso – senza antagonism­i controprod­ucenti – con l’Unione europea per accrescere i suoi investimen­ti nelle infrastrut­ture materiali e immaterial­i e nel Green deal. Soprattutt­o, però, sono indispensa­bili investimen­ti privati, italiani e stranieri, che latitano per l’incertezza sulla sostenibil­ità del debito, per l’instabilit­à nel tempo degli impegni presi da passati governi, per la farraginos­ità burocratic­a, per i veti incrociati, per l’incertezza del diritto.

Questi sono solo piccoli spunti per un’agenda oltre l’emergenza. Chi li può sviluppare? Keynes lavorò con il Tesoro assistito da economisti di Cambridge e Oxford. Beveridge, direttore della London school of economics, presiedett­e una commission­e di esperti. Nell’Italia di oggi non mancano persone e istituzion­i in grado di gettare autorevolm­ente lo sguardo oltre l’emergenza disegnando un programma di medio-lungo termine: la Banca d’Italia, il ministero dell’Economia, università di prestigio internazio­nale. Lo facciano, nella speranza non infondata che lo shock di questi mesi generi una reazione vitale che stimoli partiti e attori sociali a rompere l’immobilism­o culturale e politico che ha caratteriz­zato il lungo sonno del declino italiano.

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