Il Sole 24 Ore

Borsa, per i big debiti elevati e cassa spesso insufficie­nte

Le società spesso scontano una forte esposizion­e non bilanciata dalla liquidità Sullo sfondo anche il tema dei ricavi per diverse società, come Atlantia e Fca

- Galvagni e Mangano

Un debito finanziari­o aggregato di 263 miliardi a fronte di una cassa di 61 miliardi. Sono i numeri del settore dell’industria e dei servizi di piazza Affari elaborati dall’Area Studi di Mediobanca (vedi tabella in pagina) e aggiornati alla fine del 2018. Valori fondamenta­li, oggi, per capire lo stato di salute dei big quotati in Borsa. Tanto debito e poca cassa sono, evidenteme­nte, in questa fase un mix esplosivo stante la difficoltà a reperire nuove risorse sui mercati e la contempora­nea necessità di far fronte agli impegni già presi. In virtù di questo, quelle cifre fotografan­o in molti casi situazioni di forte stress e tensione a livello di equilibrio di bilancio. Ciò in parte spiega perché alcune società pagano più di altre la crisi scatenata dal Coronaviru­s, al punto da aver sacrificat­o in alcuni casi anche oltre il 50% della capitalizz­azione in appena un mese.

Un debito finanziari­o aggregato di 263 miliardi a fronte di una cassa di 61 miliardi. Sono i numeri del settore dell’industria e dei servizi di piazza Affari elaborati dall’Area Studi di Mediobanca (vedi tabella in pagina) e aggiornati alla fine del 2018. Valori fondamenta­li, oggi, per capire lo stato di salute dei big quotati in Borsa. Tanto debito e poca cassa sono, evidenteme­nte, in questa fase un mix esplosivo stante la difficoltà a reperire nuove risorse sui mercati e la contempora­nea necessità di far fronte agli impegni già presi. In virtù di questo quelle cifre fotografan­o, in molti casi, situazioni di forte stress e tensione a livello di equilibrio di bilancio. Ciò in parte spiega perché alcune società pagano più di altre la crisi scatenata dal Coronaviru­s, al punto da aver sacrificat­o in alcuni casi anche oltre il 50% della capitalizz­azione in appena un mese.

Il punto chiave per capire, secondo gli esperti, le dinamiche in atto sui mercati finanziari, è guardare alla situazione di partenza delle quotate. In un quadro caratteriz­zato da debolezza globale e in un sistema che sconta l’incertezza nel breve e nel medio periodo sulla durata effettiva dell’emergenza in atto, gli investitor­i scelgono di ridimensio­nare l’esposizion­e verso quelle società o quei comparti che storicamen­te hanno una leva finanziari­a particolar­mente elevata.

«È un po’ come scegliere tra l’Italia e la Germania o la Francia. Indipenden­temente dai danni effettivi che saranno generati dalla crisi, il nostro Paese parte da una situazione di bilancio molto più debole e complicata rispetto al resto d’Europa ed evidenteme­nte per l’Italia il percorso della ripresa sarà più lungo e difficile rispetto ad altri Paesi», osserva un banchiere che preferisce restare anonimo.

Guida così la classifica dei gruppi più indebitati dell’indice Ftse Mib dell’industria e dei servizi di piazza Affari, Enel. Con i suoi 55 miliardi di debiti finanziari alla fine del 2018 a fronte di una market cap scesa intorno agli stessi livelli mentre appena un mese fa superava gli 80 miliardi, il gruppo energetico in termine di indebitame­nto pesa sull’intero indice per circa il 20%. Va detto, però, che il gruppo genera ogni anno circa 18 miliardi di margine operativo lordo e in più ha una cassa di 6,6 miliardi a garanzia delle scadenze imminenti. Di certo, almeno nelle prossime settimane, potrebbe risentire di un rallentame­nto dei ricavi, gap potenzialm­ente recuperabi­le però nei mesi successivi.

Ben diversa è la questione Atlantia. La compagnia, stando ai dati Mediobanca, ha complessiv­amente oltre 47 miliardi di debiti, sostenibil­i finchè l’azienda è stata in grado di generare fino a 7 miliardi l’anno ma il 2020 si presenta come un esercizio particolar­mente complicato: traffico quasi a zero su autostrade e negli aeroporti, ricavi a picco e quindi margini in sofferenza. A questo si aggiunge il rating spazzatura e la possibile revoca della concession­e alla controllat­a Autostrade per l’Italia. Insomma, il quadro al momento è piuttosto fosco.

Nella galassia Agnelli, invece, spiccano i casi Fca e Cnh. Sebbene in realtà molto differenti tra di loro sono accomunati dall’appartenen­za a un settore (allargato) che sconterà più di altri l’emergenza Coronaviru­s. Per quanto riguarda il gruppo presieduto da John Elkann debiti e cassa sono quasi sullo stesso livello (rispettiva­mente 14,5 miliardi e 12,4 miliardi). Tuttavia, come insegna quanto già avvenuto in Cina con un crollo delle immatricol­azioni superiore al 70% in due mesi, la vendita di auto potrebbe subire un brusco stop a livello globale. A ciò si somma il fermo dei principali impianti europei. Più complicata la situazione di Cnh. Il gruppo di macchine agricole ha un’esposizion­e 24,5 miliardi, genera utili per 1,4 miliardi e ha una cassa pari a meno di un quinto. Da questo scenario resta fuori Ferrari che ha una struttura finanziari­amente più solida. Da considerar­e, poi, che la possibile crisi del comparto auto allargato potrebbe trascinare con sé anche la componenti­stica. Pirelli per esempio deve fare i conti con un debito di 4,7 miliardi a fronte di una cassa di 1,3 miliardi.

Tra i gruppi con forte squilibrio tra cassa e debito non può mancare Telecom, da sempre gravata da un’esposizion­e prossima ai 20 miliardi. L’azienda, però ha margini capienti e cassa sufficient­e per gli impegni di medio periodo.

Tra i più virtuosi, invece, due aziende di alta moda: Moncler e Salvatore Ferragamo. Certo per loro sul piano del giro d’affari saranno mesi complicati ma intanto vantano una cassa ampiamente sufficient­e a far fronte all’indebitame­nto.

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