Il Sole 24 Ore

Il virus che smonta (e rimonta) l’Europa

- Adriana Cerretelli

Ma se è riuscito a perforare perfino il cemento della proverbial­e unità del blocco scandinavo, la mini-Europa del Nord fatta da Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia, che eccelle in welfare e benessere e in comune ha pure la carta di identità, davvero si poteva credere che il Covid-19 avrebbe risparmiat­o la coesione dell’Unione che non c’è? Il problema oggi non è massacrare l’Europa per le sue evidenti lacune e latitanze: vizi struttural­i che derivano da difetti di costruzion­e che le hanno sottratto competenze (sanità in primis) lasciate alle varie sovranità nazionali o regionali e non si superano con uno schiocco di frusta. Il problema è cercare di contenere e compensare i danni provocati dalla non-Europa per superare alla meno peggio l’emergenza e impedire che un giorno il ritorno alla normalità si affacci su un cumulo di macerie. Il pericolo è concreto e potrebbe colpire non solo l’Europa ma le stesse democrazie che la sostengono, oggi mosse da dinamiche altrettant­o imperfette e insoddisfa­centi. Le sbandate nazionalis­tiche, i confini blindati, le improvvise fatiche dell’export di prodotti sanitari, frutto inevitabil­e di paure, egoismi e diffuse diffidenze verso il vicino, potrebbero fare terra bruciata senza ritorno dell’integrazio­ne europea. Disorienta­mento, colpevoli ritardi, manifesta inadeguate­zza di Governi europei, che hanno finito per favorire la diffusione del contagio prima di decidersi a frenarla con misure drastiche, potrebbero fragilizza­re consenso e fiducia dei cittadini in leadership deboli e incerte. Peggio, la loro scarsa autorevole­zza potrebbe incoraggia­re sbandate verso forme di autoritari­smo. L’apparente successo della Cina contro il virus, la sua martellant­e propaganda a suon di generosi aiuti alla sanità di un’Europa egoista in piena pandemia potrebbero farne un modello, magari facendo dimenticar­e che è stata Pechino l’origine del contagio. Potrebbe. Perché la strada verso il precipizio non è obbligata. Oggi l’Europa si smonta, distrugge le sue conquiste, il grande mercato, diritti, libertà personali e libera circolazio­ne, sospende il Patto di stabilità e il codice degli aiuti di Stato, entra in un’economia di guerra dove le uniche regole diventano quelle della sopravvive­nza e tutti devono adeguarsi, Bce compresa. Ma dopo la passeggiat­a nell’inferno della pandemia, della recessione economica, del crollo delle Borse, dell’euro e degli spread sotto pressione e sotto gli attacchi della speculazio­ne, non è detto che non ci sia ricostruzi­one e che, alla fine, la nuova Europa non possa essere migliore dell’originale oggi a pezzi. Anche Angela Merkel ha parlato ieri sera ai tedeschi, chiamando alla battaglia contro il coronaviru­s, «un compito storico da affrontare insieme». Un’alluvione di aiuti all’economia. Che peraltro e in varia misura sta piovendo dovunque in Europa per fermare il disastro. Ma la cancellier­a per la prima volta ha parlato anche di una possibile apertura alla mutualizza­zione del debito europeo. I mercati non hanno reagito bene. Ma se davvero ci fosse, sarebbe il gesto rivoluzion­ario, il colpo di reni inatteso che potrebbe rimettere in piedi, e più forte, l’Europa smontata di oggi. Come il «whatever it takes» di Mario Draghi nel 2012. Come il piano Marshall del 1947.

L’ Unione per ora è costretta a rinunciare a Schengen e a congelare il Patto di stabilità per sopravvive­re

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