Dai big alle Pmi, a Bergamo industria azzoppata dal virus
Fermata o fortemente ridotta l’attività di sei aziende su dieci
«Abbiamo solo 20 mascherine, così non si continua».
La carpenteria da 100 addetti di Miriam Gualini chiude temporaneamente le attività. Ferma, come la maggioranza delle aziende in provincia di Bergamo, la zona più colpita in Italia dal Coronavirus. Chiusa o fortemente ridimensionata è infatti la maggioranza delle aziende locali, senza distinzioni di stazza o settore: il 60% nelle stime di Confindustria Bergamo. Stop per Brembo, Same Deutz Fahr a Treviglio, Gewiss. Così come praticamente azzerata l'attività di Dalmine, che vede al lavoro 130 addetti in produzione, poco più del 10% dell'organico operaio del sito, che nel complesso occupa 1600 addetti. Fermate di durata variabile, in qualche caso teoricamente limitate al tempo necessario per un upgrade delle misure di sicurezza e una riorganizzazione dell'attività. Con la forte possibilità, tuttavia, di vedere una proroga anche per periodi successivi. «Si naviga a vista - conferma il capo del personale di Sdf Paolo Ghislandi - e abbiamo confronti continui con il sindacato». Chi può ricorre in modo massiccio allo smart working, la modalità standard per il personale amministrativo d'ufficio. Anche se Bergamo non è Milano: questa è la patria dei prodotti, non dei servizi. Pensate ad un oggetto qualsiasi, un componente, un semilavorato. Tubi , trattori, robot e camicie, elettronica o macchine utensili, acciaio o basamenti per motore, telai e spillatori per birra: qualcuno che li produce, a Bergamo, si può sempre trovare.
Articolazione e forza manifatturiera ben visibili scorrendo i dati dell'export, con Bergamo a rappresentare una delle corazzate del Made in Italy. Provincia che pur se penalizzata lo scorso anno dalla frenata mondiale dell'auto, dunque della meccanica, ha finora retto l'urto, sviluppando ancora oltre 16 miliardi di export, 44 milioni di euro ogni giorno, sabati e domeniche inclusi. Vendite oggi a rischio per un duplice problema: da un lato la progressiva frenata dei mercati internazionali, in parallelo alla diffusione globale del virus: dall’altro l’impossibilità diretta nel produrre, per effetto della chiusura delle fabbriche.
C’è però anche chi prova a reggere, come Giorgio Donadoni, presidente di Comac, produttore di macchinari per il beverage che a regime occupa 160 addetti. Scesi a 42, dopo il ricorso allo smart working, la revisione dei turni, i permessi aggiuntivi. «Sono qui anch’io – spiega – come è giusto che sia. Le precauzioni ad ogni modo sono massime: in mensa, ad esempio, entra una persona alla volta, ogni cinque minuti. Teniamo aperti i servizi minimi, per assistenza e ricambi, mentre di concerto con i clienti facciamo slittare di qualche settimana le consegne». Timori e assenze precauzionali fanno lievitare l’assenteismo, che pure qui si mantiene nell’ordine del 12%. Di molto inferiore al 40% sperimentato da Fonderie Mazzucconi, che prova a resistere anche per proseguire le spedizioni di componenti verso i costruttori di auto in Germania. «E loro – spiega Michele Mazzucconi – almeno per ora non vogliono sentir parlare di stop produttivo per causa di forza maggiore. Ad ogni modo adottiamo ogni precauzione possibile, così come abbiamo pensato di stipulare per tutti gli addetti una polizza assicurativa ad-hoc». Aperta è anche Abb, che a Dalmine, dove occupa mille persone, prosegue la propria attività, seppure al 60%. «Dal 22 febbraio abbiamo adottato misure di sicurezza restrittive e precauzionali che più tardi sono diventate lo standard - spiega l’ad di Abb spa Gianluca Lilli - e grazie a queste ora possiamo continuare a lavorare. Peraltro, i quadri elettrici e gli interruttori che produciamo sono diretti anche agli ospedali , per i quali prevediamo consegne d’urgenza. Lavorando con la sanità e con le tlc, servizi essenziali, restare aperti è in un certo senso anche un obbligo morale». Al lavoro anche Siad, che dal sito principale di Osio Sopra continua a produrre gas medicali, in primis ossigeno. La cui domanda in regione in pochi giorni si è impennata. Le assenze sono oltre la media ma dei 200 addetti operativi impegnati alla produzione 170 sono al lavoro. «I volumi sono quadrupli rispetto alla media - spiega il direttore operations e commerciale di Siad Medicale Paolo Cao anche se in alcune tipologie di consumo, penso alle bombole per ambulanza, le richieste si sono moltiplicate per 14. All’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo siamo arrivati a 540 metri cubi di ossigeno consumato ogni ora. E partivamo da 140». Addetti amministrativi e reparto di engineering del gruppo (1150 persone in Italia) sono stati posti per quanto possibile in smart working, mentre il personale operativo è impegnato full-time, con un’esplosione degli straordinari e lavoro previsto anche sabato e domenica. «Gli operatori tecnici sul campo - aggiunge Cao - in particolare non hanno orari. All’Ospedale di Bergamo abbiamo anche deciso di mettere un presidio fisso di tre persone, vista la mole di lavoro. E intanto abbiamo avvisato le nostre filiali estere. Dicendo loro: preparatevi».
Stop per Brembo, Same Deutz Fahr a Treviglio, Gewiss. Quasi azzerata l’attività di Dalmine
Le aziende con merito di credito «spazzatura» nello scenario più avverso non avrebbero spazio di manovra