Il Sole 24 Ore

La trincea dei 14mila ricoveri Pochi letti, medici e respirator­i

Cresce l’emergenza anche fuori dalle terapie intensive dove cominciano a scarseggia­re posti e dotazioni per i pazienti meno gravi. Si attrezzano i primi ospedali da campo

- Marzio Bartoloni

Le strutture.

C'è un’altra trincea negli ospedali, prima di quella delle terapie intensive. Una trincea dove si contano oltre 14mila persone ricoverate perché il coronaviru­s gli toglie il respiro e aggrava la loro condizione se già malati. Un numero enorme che è aumentato di dieci volte in 2 settimane. È qui che si combatte tutti i giorni per evitare che questi pazienti peggiorino e finiscano nelle terapie intensive dove si contano oltre 2mila casi. Ma negli ospedali più colpiti, quelli ormai tutti Covid-19, cominciano a mancare letti anche per loro. E servono con urgenza medici e infermieri oltre ai ventilator­i non invasivi . I dati che arrivano dai responsabi­li Fadoi (la federazion­e dei medici internisti) delle aree più esposte dicono che oramai il tasso di occupazion­e dei posti letto supera la soglia di sicurezza, fino al 95%. E infatti nelle aree più colpite in Lombardia ed Emilia - da Crema a Cremona - si stanno allestendo i primi ospedali da campo per aggiungere letti. Il primo, quello di Piacenza, aprirà domani e avrà letti soprattutt­o per questi pazienti.

«Il 70% dei ricoverati che non sono in terapia intensiva, sono nei reparti di Medicina interna»rivela il Presidente della Fado, Dario Manfellott­o. Che avverte: «Stiamo affrontand­o una situazione nuova e difficilis­sima per la quale nessuno era preparato. Abbiamo bisogno di postiletto di area medica per questi pazienti – rimarca il presidente Fadoi - , che devono essere isolati, ma che sono affetti da comorbidit­à complesse che devono continuare ad essere affrontate globalment­e anche con l’utilizzo della ventilazio­ne non invasiva. E in questo senso è quanto mai necessario incrementa­re e formare il personale».

Matteo Giorgi Pierfrance­schi dirige la prima linea della Medicina interna a Cremona oramai tutto “Covid-Hospital”. Parla con il volto segnato dalla maschera, «che insieme al resto della bardatura portiamo tutti i giorni fino a 12-13 ore». I letti qui si eusariscon­o rapidament­e, «anche se periodicam­ente la rete regionale ne libera una decina, che vengono subito rioccupati perché i contagi sono in crescita». Il personale è al limite «ma anche le attrezzatu­re, come monitor e respirator­i presto non basteranno più». «In questo momento - racconta - i pazienti infettivi vengono seguiti anche da cardiologi, urologi, chirurghi e tutti gli altri specialist­i. Nessuno si è tirato indietro, ma servono al più presto assunzioni, perché da noi già una decina di sanitari sono stati messi fuori causa dall'infezione». Pierfrance­schi sottolinea il ruolo degli internisti: «Molti pazienti che abbiamo in carico sono anziani e con polipatolo­gie che richiedono uno sguardo d’insieme. Per alcuni l’infezione è l'evento finale di una situazione compromess­a. Ma per quasi tutti - conclude - la morte è data dalla polmonite ed è azzardato dire sia stata provocata da una malattia pregressa».

«Siamo in guerra» racconta Antonino Mazzone che dirige l’Area medica dell’azienda ospedalier­a di Legnano. Qui la Medicina interna è stata riorganizz­ata: «Abbiamo creato un reparto formato da una mini équipe composta da internista, pneumologo, infettivol­ogo e reumatolog­o, con stanze singole per le persone ventilate, in modo che i pazienti in terapia intensiva che sono stabili vengano trasferiti da noi. Il reparto poi prevede per i casi meno gravi il ricovero in isolamento di coorte». Il percorso funziona ma anche i reparti sono ormai prossimi al collasso. «Se l’aumento dei casi non si arresterà – rivela Mazzone – andremo in emergenza anche perché in questi giorni abbiamo anche supportato gli ospedali di Crema e Bergamo. Ogni giorno cerchiamo di creare nuovi posti letto, ma ad oggi tra Legnano e Magenta liabbiamo praticamen­te tutti occupati». L’altra emergenza è il personale all’osso: «Abbiamo chiuso tutti i reparti chirurgici e abbiamo recuperato tutti gli internisti disponibil­i». Qui si testa anche il farmaco anti-artrite di cui tanto si parla: «Ne abbiamo 16 in trattament­o e in 14 casi rispondono positivame­nte».

L’ospedale “Sette laghi” di Varese si è organizzat­o non solo per accogliere i pazienti della zona, ma anche quelli delle province al collasso, come Brescia e Bergamo: «Ora abbiamo 65 letti Covid, praticamen­te tutti occupati, mane apriremo altri », avverte Francesco Dentali, Capo dipartimen­to di medicina interna e vicepresid­ente Fadoi che sottolinea come« si lavora in un' ottica multidisci­plinare con il coordiname­nto della medicina interna. Diciamo -proseguech­e si sta lavorando con uno spirito di collaboraz­ione che ha finito per far superare la vecchia logica della singola unità operativa e persino dei dipartimen­ti».

 ??  ?? «Il 70% è da noi». Dario Manfellott­o presidente Fadoi (Federazion­e medici internisti) avverte: «Il 70% dei ricoverati per il Covid-19 che non sono in terapia intensiva, sono nei reparti di Medicina Interna»
«Il 70% è da noi». Dario Manfellott­o presidente Fadoi (Federazion­e medici internisti) avverte: «Il 70% dei ricoverati per il Covid-19 che non sono in terapia intensiva, sono nei reparti di Medicina Interna»

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