Dalla Cina primi segnali di risveglio industriale
Ripresa la produzione di auto mentre in Europa e Usa è ferma. Rilancio dei settori strategici a partire dai chip
Parole del premier Li Keqiang: gran parte della Cina è ormai a rischio ridotto e può concentrarsi, sia pure senza abbassare la guardia ,sulla ripresa delle attività economiche. Le ha pronunciate il 19 marzo, una data cruciale per il Paese: per la prima volta dallo scoppio dell’epidemia, non si sono registrati nuovi casi nella provincia di Hubei, epicentro della crisi da coronavirus, e in tutta la nazione i nuovi contagi risultano solo di “importazione” (attribuiti a persone venute dall’estero).
Che i tentativi di portare sotto controllo la diffusione del virus stessero avendo successo, tutti lo avevano intuito fin dal 10 marzo, quando il presidente Xi Jinping aveva finalmente visitato Wuhan. Per lo scenario dell’economia mondiale, forse ancora più significativa è la data del 13 marzo: in tarda serata sul sito aziendale il Ce odi App le, Tim Cook, ha postato una lettera in cui annunciava la chiusura di tutti i suoi store nel mondo e la riapertura di tutti i suoi negozi nella Greater China (che erano stati chiusi a fine gennaio). Un fenomeno che ha trovato riscontro nel settore della produzione automobilistica: alla riapertura delle linee di assemblaggio in Cina è corrisposto l’annuncio di vaste sospensioni delle operazioni da parte di molti costruttori in Europa e Usa.
Sul piano simbolico, la lettera di Cook mette in luce una prospettiva secondo cui la Cina può ormai dedicarsi soprattutto al rilancio della sua economia, proprio mentre nel resto del mondo l’esplosione dell’epidemia ha sconvolto i mercati e materializzato lo spettro di una grande recessione. Molti analisti la vedono ormai ovunque tranne in Cina, pronosticata in netta ripresa a partire dal secondo trimestre dopo un Pil negativo solo nel primo: gli ultimi dati sul calo degli stock di materie prime segnalano un recupero avviato. Uno scenario che si accompagna ai tentativi di affermazione del “soft power” di una Cina che sta passando - nella narrativa ufficiale di Pechino, ma non solo - a benefattrice dell’umanità (con l’offerta di aiuti e assistenza a molti Paesi, secondo una nuova “Via della Seta sanitaria” evocata dallo stesso presidente Xi), cercando - già con un certo successo - di scrollarsi di dosso una precedente immagine di untore globale.
Certo l’impatto negativo è forte: i dati sui primi due mesi dell’anno hanno evidenziato netti cali di tutti gli indicatori economici (in ripresa c’è solo l’inflazione, spronata dagli alimentari). Le società di analisi hanno rivisto in forte ribasso nelle ultime due settimane le loro stime sul primo trimestre, periodo in cui il Pil potrebbe contrarsi fin del 9% o 10% (secondo i pessimisti Nomura o S&P Global Ratings: la media suggerisce un -6%). Quasi tutti vedono però il segno positivo per l’intero 2020 (+3% la media dei pronostici), anche se l’altrui recessione si riverbererà sulla domanda esterna per il Made in China.
Secondo Fitch, nello scenario peggiore di “lockdown” globale quest’anno l’Eurozona si contrarrà dell’1,7% e gli Usa dello 0,7%, mentre la Cina crescerà del 2% (anziché del 3,7% secondo lo scenario considerato ad oggi più verosimile). Sono tutte indicazioni secondo cui sarà la Cina a guidare l’economia globale, comparativamente magari anche più di prima: «Crediamo che da metà 2020 a metà 2021 il Pil cinese crescerà del 7,6%», afferma Louis Kuijs di Oxford Economics (che stima un -5% nel primo trimestre).
È diffusa l’attesa, al di là delle manovre espansive sul fronte monetario, di un maxipiano cinese di stimoli fiscali che, secondo le indiscrezioni, potrebbe far salire il deficit annuale fino al 3,5% dal 2,8% dell’anno scorso. Un piano che dovrebbe avere il focus sulle infrastrutture: non tanto quelle di base, ma quelle legate a un upgrading tecnologico del Paese.
Del resto, di recente sono emerse conferme sul fatto che anche nel caso dell’Hubei e della stessa Wuhan (messa in quarantena il 23 gennaio) le autorità - pur introducendo le più rigide misure di prevenzione - non hanno mai perso divistaalcuneesigenzedistrategiaeconomica ritenute fondamentali. Il produttore di chip Yangtze Memory Technologies,adesempio,haavutopermessi speciali per non interrompere l’attivitàeperspedireisuoiprodotti.Inderoga al tetto mensile degli straordinari, gli addetti hanno lavorato a più non posso.
Sembra incredibile, ma l’azienda non ha nemmeno sospeso le attività di reclutamento di talenti ingegneristici, ha riportato il quotidiano giapponese Nikkei. Un settore-chiave nel piano di upgrading tecnologico “Made in China 2025”, insomma, non è stato annichilito dal coronavirus, a costo di rischiare una maggiore diffusione dell’ epidemia. «Yangtze Memory è considerato uno dei più importanti progetti nei semiconduttori finalizzati a far raggiungere alla Cina una sostanziale autosufficienza nelle catene tecnologiche - afferma Avril Wu, analista di TrendForce - il gruppo diventerà uno sfidante formidabile per molti degli attuali leader del mercato, comprese Intel e Micron, entro la fine del 2021».
Pechino non vuole ritardi sul piano strategico di upgrade tecnologico “Made in China 2025”
Magari la produzione di quest’anno non potrà centrare gli obiettivi originari, mail potenziale resta intatto, secondo le linee delineate dal“BigFund”v arato nel 2014 per dar vita a una potentissima industria nazionale dei chip che dovrebbe coprire il 70% del fabbisogno delle società cinesi entro il 2025.
È un esempio di quanto enfatizzato dal presidente Xi durante la visita a Wuhan: «L’epidemia avrà un impatto nell’Hubei sia economico sia sociale sul breve termine. Ma non cambierà i fondamentalipositivi della sua economia ». Già il 4 marzo Xi aveva dichiarato allo Standing Committee del Politburo che il governo accelererà gli investimenti in «nuove infrastrutture» (tra cui data center e reti 5G) per sviluppare ulteriormente tutto l’hi-tech.
Le autorità dell’ Hubeih annodi visioneil territorio intrea ree( a basso, medio e alto rischio) per calibrare la riapertura delle fabbriche. La prossima settimana dovrebbe vedere una prima ripresa di attività aWu han anche aldilà di quanto consentito finora a settori strategici come forniture medicali e chip.
Sulla tempistica del rilancio economico della Cina gravano comunque incognite di vario tipo. Non è chiaro quanto i prodotti cinesi possano soffrire per l’introduzione di controlli e restrizioni anti-coronavirus in altri mercati, a partire da quello Usa, dove T rum pappare furioso per il“virus cinese”( co melo chiama) che sta intaccando le sue prospettive di rielezione.
I venti di de-globalizzazione - e il più concreto allarme per la vulnerabilità delle supplych ai n-dovrebbero indurre varie multinazionali a diversificare rispetto a una percepita eccessiva dipendenza dalle produzioni cinesi. D’altra parte, sul medio e lungo termine la crisi da corona virus appare a molte osservatori come un’ occasione per ulteriori avanzate del sistema-Cina ai vertici mondiali in tutti i servizi a distanza (dalle consegne all’educazione), nel quadro di applicazioni sempre più avanzate dell’ intelligenza artificiale che l’emergenza non ha fatto altro che spronare e diffondere.