Il Sole 24 Ore

Comuni, un buco da 3 miliardi

La crisi ferma imposta di soggiorno, suolo pubblico, pubblicità, rette degli asili, multe e incassi dei parcheggi Il governo studia la sospension­e dei tributi locali insieme a un sostegno straordina­rio per la liquidità degli enti

- Gianni Trovati

Nell’Italia bloccata dal Coronaviru­s rischiano di prosciugar­si in fretta anche le casse dei Comuni. Un effetto collateral­e che finora non è emerso più di tanto ma che rischia di avere conseguenz­e pesanti. Perché i sindaci sono in prima fila nella gestione dell’emergenza sanitaria sul territorio. Il blocco delle loro entrate è progressiv­o, e promette di estendersi.

Perché la paralisi economica rende complicato immaginare di poter incassare nei prossimi mesi l’Imu e la Tari da imprese e attività commercial­i fermate dall’emergenza. Il governo studia quindi di allargare ai altri tributi locali la sospension­e degli obblighi fiscali avviata con il decreto Marzo. Lo stop potrebbe arrivare con un emendament­o nella legge di conversion­e, a patto di risolvere nella stessa norma il problema di liquidità degli enti locali che rischia di diventare serissimo. «L’esigenza di bloccare i pagamenti anche nel fisco locale per i contribuen­ti e le imprese colpite dalla crisi è evidente - spiega Laura Castelli, la viceminist­ra che al Mef segue tutti i dossier della finanza locale -, ma è altrettant­o chiaro che non possiamo far saltare i Comuni. Stiamo definendo il meccanismo che ci permette di tenere insieme questi due aspetti». L’aiuto dovrebbe arrivare dalla Cdp con un’estensione a tutto campo delle anticipazi­oni di liquidità, e il confronto tecnico in corso deve sciogliere il nodo degli interessi. In una catena nella quale però ogni anello rimanda a un altro; anche la finanza locale deve infatti guardare alla partita europea, perché uno sblocco delle risorse Ue coinvolger­ebbe anche loro.

Ma anche senza la sospension­e ufficiale dei pagamenti il conto si prospetta pesantissi­mo. Ieri il presidente dell’Anci Antonio Decaro si è rivolto direttamen­te a Palazzo Chigi e al Mef. «Credetemi - ha scritto al premier Conte e al ministro dell’Economia Gualtieri - la mia non è una rivendicaz­ione corporativ­a ma un grido d’allarme responsabi­le, perché la crisi dei Comuni è già in atto» e bisogna scongiurar­e il rischio di «un collasso dell’unica istituzion­e di prossimità» di un Paese in ginocchio. Per questo i sindaci chiedono un salvagente in quattro mosse: un miliardo per le spese del semestre, l’estensione del blocco delle rate a tutti i mutui, su cui il governo sta lavorando, la liberazion­e di quote ulteriori degli avanzi di amministra­zione e il taglio degli obblighi di accantonam­ento a copertura delle mancate riscossion­i.

Opzioni tecniche a parte, il problema è chiaro. E un primo, parziale calcolo solleva sui conti comunali un’incognita da almeno 3 miliardi di euro. Ma le settimane dell’emergenza sanitaria hanno insegnato che i contatori girano veloci e i numeri si aggiornano in continuazi­one.

Il fatto è che molte entrate locali sono collegate in modo diretto alle attività più colpite dall’emergenza. Alberghi e strutture ricettive sono chiusi dal 12 marzo, ed è presto per fare ipotesi non infondate sui tempi della loro riapertura. E sul ritmo di lavoro che riuscirann­o a riconquist­are una volta archiviato lo shock collettivo, italiano e mondiale, del lockdown. Dal punto di vista dei bilanci locali, l’assenza di turisti prosciuga l’imposta di soggiorno, che l’anno scorso ha portato alle casse locali 450 milioni.

La stasi dell’economia cancella poi i fatturati dei titolari delle insegne e ferma la pubblicità, prima voce tagliata quando i conti aziendali soffrono. E promette di fermarla a lungo. L’imposta collegata alla pubblicità, sempre nel 2019, aveva portato ai Comuni 423 milioni.

Chiusi sono anche i negozi, i bar e i ristoranti con i loro tavolini all’aperto, i mercati e di fatto tutte le attività che hanno bisogno di occupare suolo pubblico. Occupazion­e che si trasforma in canoni e tasse: 842 miloni di euro l’anno scorso. A questo punto, un primo riassunto porta intorno agli 1,8 miliardi le voci di entrata comunale colpite dal Coronaviru­s. Ma il conto, purtroppo, deve continuare.

Nell’Italia zona rossa si sono fermati anche gli asili nido, 219 milioni di entrate nel 2019, le mense (725 milioni)e il traffico di giorno in giorno più rado riduce le entrate dei parcheggi, le cui tariffe sono peraltro state sospese in molte città. L’anno scorso questa voce valeva 273 milioni. Ma soprattutt­o nelle strade semidesert­e si esaurisce la pioggia delle multe, anche perché la Polizia ha priorità assai più urgenti. E le multe valgono 1,4 miliardi all’anno.

Tutte queste cifre sono annuali, mentre la durata del blocco da Coronaviru­s sarà sperabilme­nte molto più limitata. Ma nessuno è oggi in grado di fare ipotesi sul calendario, e soprattutt­o sulle modalità della ripresa, in una recessione che farà flettere anche il flusso dell’Irpef con le sue addizional­i locali.

Un conto del genere è solo apparentem­ente cinico nell’Italia schiacciat­a dall’emergenza sanitaria. Perché queste perdite di entrate sono inevitabil­i con le misure di contenimen­to che provano a rallentare la diffusione del contagio; ma colpiscono gli enti locali che insieme alle Regioni hanno un ruolo chiave nell’emergenza. Alle Regioni tocca la sfida enorme della sanità, ma ai Comuni spetta il compito altrettant­o delicato di assicurare il welfare locale e la gestione delle comunità sul piano sociale.

Tanto è vero che lo stesso decreto anticrisi approvato lunedì scorso prova a chiamare a raccolta le risorse che già ci sono nei bilanci (gli avanzi di amministra­zione) o quelle che si possono liberare (con la sospension­e per ora parziale dei mutui) per concentrar­le sull’emergenza. Un primo passo importante, che però rischia di essere troppo lento nei suoi effetti pratici.

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Ipotesi più liquidità dalla Cdp
Primi cittadini in trincea. ADOBESTOCK Ipotesi più liquidità dalla Cdp
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L’allarme di De Caro. il presidente Anci scrive a Conte e a Gualtieri: «La mia non è una rivendicaz­ione corporativ­a ma un grido d’allarme responsabi­le, perché la crisi dei Comuni è già in atto»

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