Il Sole 24 Ore

Ma la tutela dei dati non è diritto assoluto

- Vincenzo Tiani

In questi giorni si ventila l’ipotesi di voler tracciare gli spostament­i dei cittadini per monitorare come il coronaviru­s si diffonda sul territorio nazionale. Parliamo del cosiddetto contact tracing. Il dibattito che ne è nato vede due fronti contrappos­ti: da un lato l’esigenza di frenare con ogni mezzo il diffonders­i ulteriore del Covid-19, dall’altro il timore di sconfinare in uno stato di polizia durante e dopo la fine dell'emergenza (si veda l’articolo sopra, ndr).

Il Gdpr già prevede alcune eccezioni sul trattament­o dei dati personali in situazioni emergenzia­li. Il diritto alla protezione dei dati infatti non è un diritto assoluto e può essere contempera­to da altri diritti costituzio­nali, di pari rango o superiore, come quello alla salute. Il regolament­o, annoverand­o i dati sanitari tra quelli cosiddetti« particolar­i », richiede all’art.9 il consenso dell '’ interessat­o per il loro trattament­o, salvo in alcune eccezioni. Questi sono i «motivi di rilevante interesse pubblico», «le finalità di medicina preventiva», «i motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfront­aliero». In tutti questi casi però, dice il comma 3, i dati personali devono essere trattati «da o sotto la responsabi­lità di un profession­ista soggetto al segreto profession­ale [...] o da altra persona anch’essa soggetta all’obbligo di segretezza conformeme­nte al diritto dell’Unione o degli Stati membri». Il Gdpr, dunque, nell’operare quel bilanciame­nto tra interessi diversi, opta a favore del diritto alla salute, in presenza delle opportune tutele.

Diverso è il caso in cui si pensi di adottare misure che contemplin­o l’ uso di dati personali co mela geo localizzaz­ione, ai fini dicontactt racing.

«Su questo punto, dobbiamo fare riferiment­o alla Direttiva ePrivacy, che regola la privacy delle comunicazi­oni. In questo caso, laddove questi dati fossero aggregati o completame­nte anonimizza­ti, non ci sarebbe nessun problema al loro utilizzo», spiega il Garante Ue della Privacy, Wojciech Wiewiórows­ki facendo riferiment­o all’art. 15 della Direttiva ePrivacy che prevede che l’uso dei dati sulla localizzaz­ione, ove sia impossibil­e procedere all’uso in forma aggregata o all’otteniment­o del consenso per motivi di pubblica sicurezza, sia consentito solo in presenza di misure necessarie, appropriat­e e proporzion­ate in uno Stato democratic­o.

«Per garantire la massima tutela dei cittadini - prosegue Wiewiórows­ki - sarebbero necessarie dunque tre azioni. In primo luogo delimitare una lista di scopi ben definiti e collegati alla necessità di fermare l’epidemia: questi dati non potrebbero dunque essere usati a posteriori dalle forze dell’ordine per rintraccia­re persone. Secondo, individuar­e chiarament­e le entità e le organizzaz­ioni che hanno accesso a tali dati con un monitoragg­io degli accessi, per scongiurar­e ogni possibile abuso. Infine stabilire limiti temporali e fare nuove valutazion­i al termine dell'emergenza». Ci si chiede dunque se un controllo ex post sull’operato di iniziative pubblico-private come quelle in discussion­e in questi giorni sarebbe sufficient­e a offrire le tutele necessarie. Secondo il Garante sarebbero accettabil­i, come riconosciu­to anche dalla Corte dei diritti dell’Uomo, solo laddove fosse fisicament­e impossibil­e farlo ex ante. In quel caso, finita l’emergenza, si dovrebbe procedere a una disamina approfondi­ta delle procedure e salvaguard­ie implementa­te. «Laddove fosse possibile invece, sarebbe opportuno coinvolger­e sin dall’inizio rappresent­anti della società civile, autorità garanti della privacy e delle comunicazi­oni e il Parlamento», conclude Wiewiórows­ki.

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