Casa flessibile per fare spazio al lavoro
Nei progetti per l’home working arredi ibridi e tre regole da rispettare: salvaguardia della salute, divisione degli ambienti e soluzioni per mantenere la concentrazione
Il problema principale ormai non è procurarsi una sedia ergonomica o un tavolo cablato, oppure posizionare la luce giusta nel modo giusto a seconda dell’ora del giorno. Certo – tutto questo è essenziale per chi lavora da casa. Ma in tempi di home working coatto (più che di smart working o lavoro flessibile) come quelli che stanno affrontando milioni di italiani in queste settimane, c’è una preoccupazione nuova che si sta rivelando determinante: dove posizionare il computer per le video-riunioni con i colleghi. Sì, perché «la casa è il palcoscenico sul quale recitare la propria esistenza», ricorda Michele De Lucchi, architetto e designer che agli spazi per il lavoro ha dedicato moltissimi progetti e prodotti. «Ciascuno di noi sceglie per la propria casa oggetti e soluzioni per esprimere se stesso, per creare un’atmosfera il più possibile vicina alla nostra personalità – osserva –. È sempre stato così ma oggi, con le tecnologie che permettono di lavorare da remoto e consentono agli altri di entrare nelle nostre abitazioni, lo è ancora di più: diventa importante disegnare un palcoscenico il più possibile rappresentativo di noi stessi e comunicarlo all’esterno».
L’attenzione, dunque, non è soltanto per la funzionalità di un ambiente, ma per il messaggio che esso trasmette, per la sua capacità di esprimere la nostra identità e i nostri valori, spiega l’architetto. «C’è un tema importante che sta emergendo in queste settimane – dice De Lucchi –: qual è la differenza tra ciò che è privato e ciò che è pubblico? Dove si colloca il confine tra questi spazi?». Ed eccolo qui il nodo fondamentale per chi in queste settimane di quarantena sta pensando a come rendere la propria casa – almeno temporaneamente – un luogo adatto a svolgere il proprio lavoro: l’assenza di confini netti, l’ibridazione tra ambienti, spazi e tempi dedicati alla produttività o alla vita privata.
«Lavorare a casa non è facile – conferma l’architetto e designer Raffaella Mangiarotti -. C’è molta promiscuità, di pensiero innanzitutto, perché essere a casa significa anche vedere la propria casa, pensare a tutte le cose che vorresti sistemare e questo crea distrazione». Potersi isolare dagli stimoli acustici e visivi, e concentrarsi, diventa fondamentale: «Non sempre si può avere una stanza per sé a disposizione – osserva Mangiarotti –. In questi casi sarebbero ideali divani e poltrone come quelli della serie Ghisolfa che ho progettato per IOC». Sono sedute con schienali molto alti e un coefficiente di assorbimento acustico elevato, in modo da creare delle aree riservate e intime dove poter fare riunioni informali, lavorare al pc o semplicemente leggere in tranquillità.
Mangiarotti ha sempre lavorato nella logica di portare nell’ufficio il livello di comfort, calore e accoglienza tipici di una casa. Vanno in questa direzione anche i nuovi prodotti disegnati per Ioc, come la working chaise longue Bicocca, per lavorare scaricando