Uno shock dove tutto vacilla: dopo Borse e oro i bond sicuri
Lo shock del coronavirus sui mercati finanziari è salito di livello. Dopo l’iniziale e pesante effetto sull’azionario anche gli altri asset sono stati scossi dal panico scatenato dalla pandemia. Tutte le correlazioni tradizionali sono saltate. Già l’oro aveva dato segnali di cedimento, nonostante la fuga dal rischio degli investitori, ed era stato venduto per fare cassa e compensare le perdite sull’equity.
Negli ultimi giorni si sono aggiunti due altri importanti segnali: le vendite pesanti anche sui bond più sicuri, come Bund e Treasury, vittime di un rialzo dei rendimenti in prospettiva dell’aumento del debito degli Stati per contrastare la recessione. E infine la fiammata del dollaro che è salito ai massimi da inizio 2017 nonostante i tagli del costo del denaro a zero da parte della Fed. Una corsa al biglietto verde, come valuta portante a livello mondiale, che ha sconquassato le principali divise a partire dagli Emergenti.
In questo contesto l’unico fattore in comune è l’elevata volatilità su tutti gli asset. È trascorso un mese da quando è scoppiato in primo caso in Italia e il tema del coronavirus è entrato prepotetemente in Europa per poi estendersi agli Stati Uniti. Il bilancio dei listini azionari è pesante: Milano e Francoforte perdono poco più del 30% e provano a stabilizzarsi rispetto alla settimana precedente mentre l’indice S&P 500 lascia sul terreno circa il 31% e mostra segnali di peggioramento. Nella storia dei mercati ribassisti a Wall Street, una decina in tutto, la flessione ancora non è particolarmente preoccupante. Ad esempio il crollo del 2007-2009 lasciò sul terreno il 56% e durò 17 mesi. La particolarità del movimento di febbraio è stata l’insolita velocità: l’indice S&P 500 ha richiesto appena 19 giorni per passare in territorio ribassista (20% dai massimi). Solo nel 1931 il ribasso era stato più veloce con appena 15 giorni.
Gli Stati Uniti sono il vero banco di prova perché si trovano a fronteggiare, con qualche settimana di ritardo rispetto all’Europa, l’emergenza coronavirus. La Fed è stata pronta ad agire già partire dal 3 marzo con un taglio dei tassi straordinario fuori da un meeting ufficiale. Una mossa che poi è stata ripetuto ma che ha dato solo un sollievo momentaneo e poi Wall Street è tornata a scendere. Il mercato interpreta questi tagli emergenziali come il termometro della gravità della situazione.
Uno studio di Deutsche Bank (si veda la tabella a sinistra) ha analizzato le performance dell’S&P 500 dopo i tagli straordinari compiuti dal 1998 al 2008, in tutto sette casi. La media degli andamenti post interventi è negativa del 7,3% a un anno di distanza, mentre a sei mesi il bilancio è sostanzialmente piatto. La politica monetaria da sola rischia di essere spuntata.
Le banche centrali negli ultimi giorni sono intervenuti con impegni molto più decisi ed è questo il segnale che il mercato attendeva per cercare una qualche forma di stabilizzazione visto che le prospettive macro dell’economia sono molto negative (si veda l’articolo sotto).
Oltre al taglio dei tassi, è stato rispolverato il quantitative easing (allentamento monetario) attraverso l’acquisto di bond . La Fed ha annunciato un programma di acquisto da 700 miliardi di dollari. La Bce, dopo un iniziale tentennamento, ha reso noto che scenderà in campo con un piano di acquisti per 750 miliardi di euro (il 6,3% del Pil). Anche la Bank of England è intervenuto con una sforbiciata ai tassi oltre alla ripresa del Qe.
Ora la palla passa in mano ai governi, che già hanno approvato i primi provvedimenti emergenziali. Negli Usa Trump ha promesso un piano vigoroso di tagli alle tasse e misure di sostegno all’economia. Resta aperta l’ultima istanza: quella dell’helicopter money, ovvero distribuire soldi direttamente ai cittadini. L’eccezionalità di questa crisi mette in campo misure mai viste prima.
Nei 17 mesi della crisi 2007-2008 Wall Street perse il 57% Oggi l’S&P 500 ha ceduto il 30,9% in 19 giorni