Scontro sui covid bond: tre vie d’uscita
Le tensioni Ue sulla risposta anti-crisi. Mercati in cerca di stabilità: il test del dollaro
Gli eurobond continuano a dividere l’Europa. Anche sotto la forma dei covid bond, destinati a finanziare le spese necessarie per contrastare gli effetti economici dell’epidemia. La ricerca politica di uno strumento comune di finanziamento è però ancora attuale. Tre, in particolare, le soluzioni già pronte che potrebbero orientare la discussione.
Intanto, i mercati finanziari vivono una fase turbolenta, dominata dall’incertezza sulla durata e sull’impatto economico dell’epidemia (ieri le ultime stime drammatiche: negli Usa si temono fino a 200mila morti). Uno dei fattori di tesione nelle settimane scorse è stato il violento rafforzamento del dollaro Usa, per timori sulla liquidità nei circuiti internazionali: il mondo ha vissuto una corsa all’acquisto del biglietto verde, che ha poi arrestato la corsa grazie anche ai massici interventi Fed .
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Continuano a dividere l’Europa le risposte all’epidemia di coronavirus. Le pressanti richieste di alcuni paesi , tra cui l’Italia, non hanno convinto i partner “frugali” come Germania e Olanda: gli eurobond restano un tabù. La ricerca di uno strumento comune per finanziare le spese imposte dal virus non si è però esaurita.
Sul tema degli eurobond si è consumata, e poi si in parte ricomposta, la rottura al Consiglio europeo di giovedì tra i Paesi “deboli”, guidati dalla Francia, e quelli “frugali”, vicini alla Germania. Per affrontare insieme lo sforzo economico imposto dall’epidemia, i ministri delle Finanze sono ora alla ricerca di soluzioni innovative. Non si chiameranno più coronabond – l’ultima versione degli eurobond – soprattutto dopo le parole della presidente della Commissione Ursula von del Leyen che, per tranquillizzare l’opinione pubblica tedesca, li ha esclusi (salvo poi correggersi dopo le proteste italiane). Saranno però molto simili.
In circostanze normali, il confronto tra paesi “virtuosi” e paesi “generosi” non avrebbe alcune soluzione: i primi hanno una cultura economica che rifugge dall’idea di moltiplicare senza necessità l’esposizione degli Stati, e temono di essere chiamati a garantire - in ultima istanza con le loro imposte - la dissolutezza dei secondi che invece ritengono, contro ogni evidenza, che i debiti pubblici siano sempre necessari.
L’epidemia però ha cambiato molte cose. I paesi europei hanno una interesse comune. Devono tutti affrontare enormi spese che imporranno un aumento del debito pubblico. Se potessero usare la solidità della zona euro per finanziare le spese e garantire i debiti contratti, ci sarebbe un mutuo vantaggio. Come ha ricordato Mario Monti, un’emissione di bond da parte di un’istituzione europea avrebbe rischio zero e rendimenti bassissimi, uguali per tutti.
Occorre però mettere comunque d’accordo le esigenze divergenti dei partner. Le risorse raccolte in comune non dovrebbero essere destinate a spese discrezionali, che riguardino il singolo paese, ma solo per le priorità dettate a tutti dall’epidemia: le spese sanitarie e la liquidità da distribuire alle imprese (compresi gli autonomi), perché non falliscano e non licenzino i lavoratori, e alle famiglie in difficoltà. Inserire altre spese, compresi gli investimenti in infrastrutture, non avrebbe altro effetto che irrigidire le posizioni.
Posti questi vincoli, le questioni tecniche sono superabili. Sono state infatti avanzate diverse ipotesi. La prima è stata proposta su voxeu.org da economisti di tutta Europa, tra i quali Agnés Bénassy-Quéré, Marcel Fratzscher, Clemens Fuest, Francesco Giavazzi, Jean Pisani-Ferry e Lucrezia Reichlin, che tentano di superare un vincolo giuridico – nessuna istituzione europea può emettere bond – con l’idea di una linea di credito, messa a disposizione di tutti dal Fondo salvastati (Mes), con una lunga durata e condizioni minime che assicurino il “buon uso” delle risorse.
Il Mes, organismo intergovernativo e non comunitario, non piace all’Italia, sia perché ciascun paese avrebbe diritto di veto e acquisirebbe un potere enorme sugli altri, sia perchè ricorda troppo la Troika e le sue pesanti condizioni. Giavazzi e Guido Tabellini hanno allora proposto, sullo stesso sito, bond a 50-100 anni, o irredimibili, emessi autonomamente da ciascuno Stato ma in forme identiche. Alla Bce, in totale indipendenza ,sarebbe affidato il compito di acquistare parte di questi titoli per tenerne bassi i rendimenti. Rispetto alla linea di credito, avrebbero una durata lunghissima e spalmerebbero meglio nel tempo gli oneri.
Ha la caratteristica di concentrarsi sulle spese sanitarie, eliminando il rischio di una eccessiva discrezionalità - ma lasciando fuori il tema della liquidità - la proposta lanciata su Econopoly, blog del Sole 24 Ore, da Gianluca Codagnone, della Fidentis Equities, e Thomas Manfredi, dell’Ocse,che mette anche le basi per una futura politica sanitaria. L’idea è l’istituzione di un’Autorità sanitaria europea che emetta bond della durata di 10-30 anni, garantiti dagli asset della stessa autorità che avrebbe il compito di costruire «ospedali, laboratori, impianti di produzione di ventilatori, unità di terapia intensiva».