«Noi in quarantena con il telefono rovente»
«Dal primo marzo ho avuto bisogno di andare in studio una sola volta per prendere pochi documenti rimasti su carta e fare una maxi scansione. Per il resto sono chiusa in casa, con il telefono che squilla dalle sette del mattino alle 23». Dall’altro capo, artigiani e imprenditori, confusi, incerti, in cerca di bozze, di notizie e moduli per avviare la cassa integrazione o semplicemente sapere se si può restare aperti o no.
Da più di un mese la vita e l’attività di Laura Ferrari, 36 anni, consulente del lavoro a Clusone (Bergamo), zona epicentro dell’epidemia, sono del tutto stravolte.
In questo mese ha perso il nonno; ha un padre ammalato e lei stessa, con il marito e una bimba di 5 mesi, è finita in quarantena. Ma non ha neanche il tempo di fermarsi a pensare e ha scelto la strada del pragmatismo. «Se il consulente del lavoro si blocca i lavoratori non ricevono la busta paga e non partono le domande di cassa integrazione, che da queste parti sono tantissime», ricorda a se stessa prima di tutto.
Proprio la sua recente maternità è stata, in un certo senso, la sua fortuna: «Quando è arrivata questa emergenza ero già abituata a lavorare da casa per la nascita della bimba e avevo già gran parte dei documenti smaterializzati». Non è stato così per tutti: «Penso ai molti miei colleghi con studi “storici”, magari ereditati: hanno archivi per forza di cose ancora cartacei».
Ma organizzarsi stavolta non è stato facile. Ai primi segnali di difficoltà Ferrari ha chiuso lo studio, comprato tre pc («uno per ogni impiegata») e una stampante («l’importante è che abbia un buono scanner») e ha riorganizzato tutta l’attività quotidiana: due videoriunioni al giorno su Zoom con le collaboratrici come unici appuntamenti fissi, la prima per analizzare le novità e districarsi tra decreti, circolari e modulistica, l’altra per fare il punto sull’avanzamento del lavoro, una to-do-list in excel con le crocette per ogni stato di avanzamento e per non perdere alcun passaggio. Con le dipendenti si lavora per obiettivi, senza guardare l’orologio: «Non sarebbe possibile, hanno anche loro persone malate e figli a casa da più di un mese, senza l’aiuto dei nonni. Serve fiducia». E aggiunge: «Certo lo smart working dà supporto, ma andrebbe organizzato per tempo». Il vero rammarico? «La mancata semplificazione delle procedure. Almeno nell e zone più colpite era necessario uno sforzo in più: anche trovare una firma per gli accordi sindacali qui non è facile: anche noi, i nostri collaboratori e clienti, non siamo immuni e spesso la malattia è un ostacolo concreto».