Debiti riqualificati in equity: i rischi legati al report Ocse
Il testo dell’11 febbraio lascia però molti dubbi a contribuenti e imprese
Con il report «Ttransfer pricing guidance on financial transations» pubblicato l’11 febbraio, l’Ocse ha completato il lavoro sui prezzi di trasferimento relativi alle operazioni finanziarie, che sarà inserito in un nuovo capitolo delle Linee guida del 2017 (capitolo 10). Tra i temi di particolare interesse, c’è quello della possibile riqualificazione del debito in capitale derivante dal corretto inquadramento delle operazioni finanziarie intra-gruppo («accurate delineation»). Secondo l’Ocse infatti il principio di libera concorrenza, previsto all’articolo 9 del modello di convenzione contro le doppie imposizioni, non riguarda solamente il valore di mercato del tasso di interesse ma anche il livello di indebitamento.
Qualora da un punto di vista sostanziale l’operazione di finanziamento vista nel complesso risulti diversa da quella che sarebbe stata pattuita tra parti indipendenti, le amministrazioni finanziarie potrebbero riqualificare in tutto o in parte il debito in capitale. Alcuni esempi di indicatori utili per l’inquadramento della transazione sono la capacità del debitore di ripagare il debito e di ottenere finanziamenti da parti terze, l’obbligo di pagare interessi, eccetera.
Il nodo applicazione
Una prima osservazione riguarda il fatto che, nonostante la rilevanza del tema le indicazioni dell’Ocse sono generiche.
Sarebbe stato opportuno fornire maggiori dettagli tecnici sulla concreta applicazione anche andando oltre la semplice distinzione tra equity ed indebitamento alla luce delle numerose possibilità e strumenti con cui le imprese possono decidere di capitalizzarsi ed indebitarsi. Il documento lascia inoltre alle amministrazioni dei vari Paesi la possibilità di adottare misure alternative per l’analisi del rapporto tra debito e capitale. Anche questa disposizione, che sembra sia dovuta ad una sostanziale mancanza di consenso all’interno dell’organizzazione, desta alcune perplessità. Non viene discusso come i nuovi principi Ocse potrebbero interagire con eventuali disposizioni domestiche. Per cui questo approccio di compromesso potrebbe aumentare ulteriormente i problemi di doppia imposizione.
In sintesi il documento solleva il problema della determinazione del rapporto tra debito e capitale, ma non sembra fornire sufficienti indicazioni ai contribuenti il che potrebbe generare situazioni di incertezza e di rischio per le imprese.
Sembra pertanto opportuno che l’agenia delle Entrate fornisca ulteriori indicazioni in base all’articolo 9 del Dm del 14 maggio 2018, che prevede la possibilità di emanare disposizioni applicative delle Linee guida Ocse, come periodicamente aggiornate. L’amministrazione si era già espressa sull’argomento in relazione alle operazioni di acquisizione con indebitamento. La circolare 6/E del 30 marzo 2016 ha previsto che al ricorrere di «particolari ed eccezionali» circostanze, da valutare sulla base di indici «fattuali ed obiettivi» le operazioni di finanziamento possono essere riqualificate in apporti di capitale. Ciò determinerebbe l’indeducibilità degli interessi e l’applicazione delle disposizioni sui dividendi in uscita agli interessi riqualificati oltre che la rideterminazione dell’agevolazione Ace.
Il mondo bancario
Ulteriori considerazioni possono essere fatte per le banche e gli istituti finanziari. Il documento Ocse infatti, a differenza del precedente draft, prevede che nell’inquadramento delle transazioni finanziarie si debba tenere conto di eventuali vincoli e/o disposizioni regolatorie (es. accordi di Basilea).
Pur non essendo prevista una specifica esenzione il riconoscimento esplicito da parte dell’Ocse delle peculiarità proprie del settore finanziario e la necessità di tenere in considerazione le normative regolamentari che informano l’operatività dei soggetti finanziari, prime fra tutte le banche, rappresentano una importante presa di coscienza che ragionevolmente dovrebbe essere recepita e fatta propria anche dalle autorità fiscali.