Piccoleimprese e famiglie sono nel mirino dell’usura
Il prefetto Porzio: «Cosche alla conquista di imprese in crisi di liquidità»
«Rischiamo di tornare indietro di vent’anni». La frase è raggelante: la dice al Sole24Ore il prefetto Annapaola Porzio, commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. La preoccupazione del prefetto Porzio sta «nel rischio concreto della riconquista di ampie quote di territorio».
Riportate con fatica alla legalità «ma oggi sotto la minaccia della potenza di fuoco delle organizzazioni mafiose». La forza innanzitutto «della loro sterminata liquidità». Spiega il commissario antiracket: «Lo schema è già collaudato. L’imprenditore criminale avvicina quello normale. Non deve neanche dichiararsi nella sua genetica mafiosa. Ma persuadere la vittima, non è difficile, di essere un’occasione imperdibile di sostegno, di ossigeno finanziario, di salvataggio. Una trappola micidiale». La relazione 2019 dell’ufficio guidato dal prefetto Porzio, in via di pubblicazione, aveva già un quadro critico: calo delle denunce, usura ed estorsione non certo in diminuzione. Ma raccontava anche il «disegno criminoso perseguito attraverso la preoccupante infiltrazione di tali consorterie - si legge nel documento - nel tessuto economico del centro Nord, fenomeno ampiamente certificato in numerosi e recenti atti giudiziari». Da quando si è insediata nel febbraio dell’anno scorso, il prefetto Porzio ha visitato decine e decine di provincie a rischio del sud, centro e nord Italia. «L’usura oggi è più ambigua e sfuggente. Si confonde con l’estorsione più o meno esplicita in una metamorfosi continua. Mille facce, cambiano di continuo. Così moltiplica a dismisura la sua potenza. E ottiene molto più spesso disponibilità e accoglienza. Oggi trova il terreno fertile e sconfinato della crisi economica». Non a caso, spiega Annapaola Porzio, «è in corso di valutazione anche un dispositivo di norme da inserire nel prossimo decreto legge per dare maggior sostegno ai soggetti colpiti». Il tema principale, quello adesso prioritario, resta quello del contrasto. In prima linea Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, il ministero dell’Interno guidato da Luciana Lamorgese ma anche il Mef diretto da Roberto Gualtieri.
«Abbiamo già i segnali. Le famiglie in crisi di liquidità diventano facile preda delle cosche in assenza di nuove misure di sostegno - sottolinea il commissario antiracket - dietro una forma di assistenzialismo in apparenza generoso, certo in grado di rispondere subito a bisogni primari in difficoltà, c’è la straordinaria occasione della mafia di reclutare affiliati e aumentare consenso sociale, riconoscimento e gratitudine». Uno scenario «da scongiurare con tutti i mezzi a disposizione dello Stato. Nulla sarà lasciato intentato. Con l’epidemia COVID-19 non possiamo consentire la crescita di un welfare criminale senza precedenti». Il prefetto Porzio ha potuto già accertare, del resto, come «a Foggia c’erano imprenditori che chiedevano di essere messi nella lista dei servizi assicurativi garantiti dalla mafia locale». Figuriamoci le derive possili oggi. Basta prendere due casi giudiziari recenti, parlano da soli del pericolo incombente se non presente. A Palermo il 12 marzo la Gdf ha eseguito una confisca da 17 milioni come misura di prevenzione del pluripregiudicato usuraio Francesco Abate, la prima condanna data 1997. A Torino a inizio anno le Fiamme Gialle con la procura di Ivrea hanno arrestato tale Antonio Ferranti: con la moglie prestavano a usura a pensionati, piccoli imprenditori in difficoltà, familiari di soggetti in precarie condizioni economiche. Un quadro orribile. Oggi più che mai attuale.