Il Sole 24 Ore

Conte, Draghi e il Governo per ricostruir­e dopo l’epidemia

- Roberto D’Alimonte

In tempi di gravi crisi, come quella che stiamo attraversa­ndo, chi governa tende a essere favorito. È un fenomeno naturale. Lo vediamo in tutti i paesi alle prese con la pandemia. La paura spinge a stringersi intorno a chi ha il potere di agire, sia esso capo del governo, presidente di regione o sindaco. Ed è quello che sta succedendo anche in Italia. Secondo diversi sondaggi l’ indice di fiducia del premier Conte è salito oltre il 50% con un incremento molto significat­ivo rispetto alle rilevazion­i dei mesi scorsi. Ma quanto potrà durare questo effetto? E cosa succederà dopo quando la crisi sanitaria sarà stata superata e bisognerà affrontare la crisi economica? A queste domande è difficile rispondere ora. L’Italia non è un paese sovrano. Facciamo parte di un’ unione economica e monetaria. Le decisioni ch el aUep renderà nei prossimi giorni per affrontare la crisi condizione­ranno la politica interna. Ma comunque è da questa che occorre partire per ragionare su scenari futuri.

La metafora più utilizzata per descrivere la situazione che stiamo vivendo è quella della guerra. Guerra contro il virus e le sue conseguenz­e economiche e sociali. In guerra non ci si divide. È una deduzione banale. Occorreuni­tà di intenti e unità di azione. In questo momento a Roma si vede ben poco di tutto ciò. Il governo in carica è un governo che poggia su una maggioranz­a risicata e dipendente da un partito - il M5S - che fino a poco tempo fa ha dato voce a chi non voleva i vaccini. La popolarità di Conte non basta a compensare questa debolezza struttural­e. Per di più il premier è una figura del tutto anomala il cui successo non è di tipo partitico ma personale.Post oche continui ad avere in futuro gli elevati indici di gradimento attuali, resta il fatto chela fiducia in lui non si può convertire in voti. Conte non ha un partito. Ed è così popolare proprio perché non ce l’ha. Per certi aspetti assomiglia a Prodi. Due leader senza partito. Ma Prodi aveva un progetto, l’Ulivo. Conte no. Prodi ha operato in un contesto maggiorita­rio. Conte ha ereditato la proporzion­ale. È difficile immaginare chela ricostruzi­one post-bellica possa essere gestita dallo stesso governo che sta gestendo l’ emergenza sanitaria con una base di consensi così ristretta in Parlamento e nel paese. E uno dei motivi - lo ripetiamo - è che la fiducia di cui gode Conte non si traduce in un rafforzame­nto della attuale compagine governativ­a. Debole è e debole resterà. Popolarità e voti non vanno insieme, co mesi rileva dagli stessi sondaggi che premiano Conte.

In queste ore un po’ da tutte le parti viene evocato il nome di Draghi come leader del governo che dovrà affrontare la crisi economica. Mach e può fare Draghi da solo? Ammesso che sia disponibil­e a guidare il paese in questo momento, Draghi non sarà D inie non sarà neanche Monti. D inie Monti sono stati premier di due governi di maggioranz­a appoggiati da alcuni partiti contro altri rimasti all’opposizion­e a farei“f re eri ders”.Pe raffrontar­e quella che si profila co mela più grave recessione economica degli ultimi settanta anni serve un governo di unità nazionale. Tutti e quattro i maggiori partiti italiani dovrebbero essere disponibil­i ad appoggiare questa soluzione. Questa è la prima condizione per vedere nascere un eventuale governo Draghi. Ma non basta. È una condizione necessaria ma non sufficient­e. Oltre alla formula oc correla sostanza e cioè il programma. Su quali politiche si potrebbe trovare l’ accordo?

La risposta non può prescinder­e dall’intreccio tra politica europea e politica interna. Ma una cosa è certa. Un eventuale governo Draghi non sarà mai un governo contro l’ Europa. Qualunque siano le decisioni che l’ Unione prenderà nelle prossime settimane l’ Italia di Draghi si muoverà dentro la cornice europea tessendo alleanze e creandole condizioni per far fare all’Unione un passo avanti verso una maggiore integrazio­ne. Non il contrario. Draghi è la figura che potrebbean­corare definitiva­mente l’ Italia all’Europa, con tutto quello che ne seguirebbe sul piano della reputazion­ee della affidabili­tà del paese. Lega e F di, che hanno fatto dell’ euro scetticism­ouna componente della loro identità, saranno disposti a rinunciarc­i proprio nel momento in cui cavalcare l’ eventuale risentimen­to nei confronti dell’Unione potrebbe essere elettoralm­ente assai redditizio?

Hic Rhodus, hic salta. Se si trovasse l’accordo per fare il salto questa crisi potrebbe diventare l’occasione non solo per rafforzare l’Unione, ma per cambiare profondame­nte il nostro paese. Un governo di unità nazionale potrebbe sciogliere finalmente i nodi che da anni frenano l’economia italiana. Potrebbe anche mette remano alla razionaliz­zazione delle nostre istituzion­i. Non ci vorrà molto tempo per capire se tutto ciò è soltanto un’utopia. Molto dipenderà dalla dimensione della crisi. Intanto facciamo sommessame­nte rilevare che non si può chiedere unità e solidariet­à a livello europeo e rifiutare di unirsi a livello nazionale per condivider­e la responsabi­lità e i rischi legati alle difficili decisioni che prima o poi dovranno essere prese.

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