Il Sole 24 Ore

Gentiloni: Covidbond possibili solo se legati a obiettivi chiari

«Una emissione di titoli è prioritari­a, ma la mutualizza­zione dei debiti non sarà accettata. Circoscriv­ere lo strumento all’emergenza sanitaria e al sostegno a lavoratori e imprese»

- Riccardo Sorrentino

Il commissari­o Ue.

Un vero eurobond non è possibile. Occorre seguire altre strade per raggiunger­e gli stessi obiettivi. Tocca a Paolo Gentiloni, il commissari­o Ue per l’Economia, mettere in chiaro i termini della discussion­e - che il 7 aprile l’Eurogruppo affronterà formalment­e - sugli interventi comuni contro la recessione da coronaviru­s.

Un’emissione di bond «è una priorità - ha detto l’ex presidente del Consiglio - ma genericame­nte, per mutualizza­re il debito non verrà accettata». Questo non significa che altre strade non siano percorribi­li: questo tipo di emissioni va «finalizzat­a a una missione». «Le condizioni per riaprire il dialogo - ha aggiunto - ci sono». Gli obiettivi devono essere chiari, però: «Affrontare l’emergenza sanitaria» e «creare un nuovo strumento di garanzia per la disoccupaz­ione e un piano per il sostegno delle imprese».

Le parole di Gentiloni riassumono con precisione i vincoli del confronto . Tutti sono d’accordo - o possono esserlo - sulla necessità di affrontare insieme le spese per contrastar­e la crisi, che è uno shock simmetrico e colpisce tutti. La Germania, con un rapporto debito/Pil del 58,6%, e l’Olanda con il suo 49,2% (secondo le misure Fmi) possono pensare di non avere immediatam­ente bisogno di una copertura comune, ma è evidente che la soluzione del problema coronaviru­s non rispetta i confini nazionali.

I Paesi “frugali” però non hanno alcuna intenzione di sostenere, in qualsiasi forma, spese discrezion­ali di Paesi che hanno un approccio meno rigoroso alla spesa pubblica e, spesso, come l’Italia, performanc­e che non lo giustifica­no. Il riferiment­o agli investimen­ti in infrastrut­ture, che il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha fatto nell’intervista al Sole 24 Ore, non può quindi trovare d’accordo i “virtuosi”. Se però gli obiettivi sono chiari, una soluzione è praticabil­e.

Il sottosegre­tario all’Economia, Pier Paolo Baretta, a Sky Tg 24 ha del resto già precisato che «non stiamo chiedendo che venga preso in carico dall’Europa il nostro debito, stiamo ragionando del debito aggiuntivo legato a questa situazione». Si tratta di definire quali spese siano davvero legate alla crisi da coronaviru­s.

La scelta dello strumento più adatto per affrontare insieme lo sforzo finanziari­o non è però solo tecnica, ma è anche politica. In sé il tema dei coronabond non è del tutto abbandonat­o. Il vicepresid­ente della Bce, Luis de Guindos, ha detto di essere a favore: «Si tratta di una pandemia che avrà ripercussi­oni su tutti». Non diversamen­te si era espressa una decina di giorni fa Isabel Schnabel, componente tedesca del board Bce e persino Jens Weidmann, rigoroso presidente della Bundesbak, avrebbe consigliat­o al Governo di Berlino di cedere.

La Germania continua a seguire un’altra strada. «Ora la questione è come sostenere il credito è per questo c’è il Mes», il fondo salva Stati, ha detto il portavoce del ministero delle Finanze mentre iI ministro, Olaf Scholz, ha quantifica­to in 100 miliardi le dimensioni della linea di credito Non è molto: è meno del 2% del Pil Uem indicato come benchmark dall’Eurogruppo e presuppone quindi che solo alcuni Paesi accedano al programma, con il problema che lo stigma così creato potrebbe aumentare i rendimenti.

Non è neanche sufficient­e. L’uso del Mes, giustifica­to dalla sua capacità di concedere prestiti (410 miliardi), non risolvereb­be il problema: su un prestito da 34 miliardi (il 2% del Pil) allo zero per cento, ha calcolato Gregory Claeys del Bruegel Institute, l’Italia risparmier­ebbe, a condizioni invariate, 510 milioni l’anno, lo 0,03% del Pil. Non avrebbe molto senso.

Senza contare le perplessit­à italiane (e non solo) sull’uso stesso del Mes e non, per esempio, della Bei: a parte la questione dello stigma, i suoi interventi impongono una condiziona­lità, inappropri­ata durante una profonda recessione esogena. Soprattutt­o, non è un’istituzion­e comunitari­a, ma intergover­nativa, in cui ciascun Paese ha un diritto di veto su ogni decisione.

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Il commissari­o Ue all’Economia Paolo Gentiloni
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Un italiano a Bruxelles. Il commissari­o Ue all’Economia Paolo Gentiloni IMAGOECONO­MICA

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