Gentiloni: Covidbond possibili solo se legati a obiettivi chiari
«Una emissione di titoli è prioritaria, ma la mutualizzazione dei debiti non sarà accettata. Circoscrivere lo strumento all’emergenza sanitaria e al sostegno a lavoratori e imprese»
Il commissario Ue.
Un vero eurobond non è possibile. Occorre seguire altre strade per raggiungere gli stessi obiettivi. Tocca a Paolo Gentiloni, il commissario Ue per l’Economia, mettere in chiaro i termini della discussione - che il 7 aprile l’Eurogruppo affronterà formalmente - sugli interventi comuni contro la recessione da coronavirus.
Un’emissione di bond «è una priorità - ha detto l’ex presidente del Consiglio - ma genericamente, per mutualizzare il debito non verrà accettata». Questo non significa che altre strade non siano percorribili: questo tipo di emissioni va «finalizzata a una missione». «Le condizioni per riaprire il dialogo - ha aggiunto - ci sono». Gli obiettivi devono essere chiari, però: «Affrontare l’emergenza sanitaria» e «creare un nuovo strumento di garanzia per la disoccupazione e un piano per il sostegno delle imprese».
Le parole di Gentiloni riassumono con precisione i vincoli del confronto . Tutti sono d’accordo - o possono esserlo - sulla necessità di affrontare insieme le spese per contrastare la crisi, che è uno shock simmetrico e colpisce tutti. La Germania, con un rapporto debito/Pil del 58,6%, e l’Olanda con il suo 49,2% (secondo le misure Fmi) possono pensare di non avere immediatamente bisogno di una copertura comune, ma è evidente che la soluzione del problema coronavirus non rispetta i confini nazionali.
I Paesi “frugali” però non hanno alcuna intenzione di sostenere, in qualsiasi forma, spese discrezionali di Paesi che hanno un approccio meno rigoroso alla spesa pubblica e, spesso, come l’Italia, performance che non lo giustificano. Il riferimento agli investimenti in infrastrutture, che il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha fatto nell’intervista al Sole 24 Ore, non può quindi trovare d’accordo i “virtuosi”. Se però gli obiettivi sono chiari, una soluzione è praticabile.
Il sottosegretario all’Economia, Pier Paolo Baretta, a Sky Tg 24 ha del resto già precisato che «non stiamo chiedendo che venga preso in carico dall’Europa il nostro debito, stiamo ragionando del debito aggiuntivo legato a questa situazione». Si tratta di definire quali spese siano davvero legate alla crisi da coronavirus.
La scelta dello strumento più adatto per affrontare insieme lo sforzo finanziario non è però solo tecnica, ma è anche politica. In sé il tema dei coronabond non è del tutto abbandonato. Il vicepresidente della Bce, Luis de Guindos, ha detto di essere a favore: «Si tratta di una pandemia che avrà ripercussioni su tutti». Non diversamente si era espressa una decina di giorni fa Isabel Schnabel, componente tedesca del board Bce e persino Jens Weidmann, rigoroso presidente della Bundesbak, avrebbe consigliato al Governo di Berlino di cedere.
La Germania continua a seguire un’altra strada. «Ora la questione è come sostenere il credito è per questo c’è il Mes», il fondo salva Stati, ha detto il portavoce del ministero delle Finanze mentre iI ministro, Olaf Scholz, ha quantificato in 100 miliardi le dimensioni della linea di credito Non è molto: è meno del 2% del Pil Uem indicato come benchmark dall’Eurogruppo e presuppone quindi che solo alcuni Paesi accedano al programma, con il problema che lo stigma così creato potrebbe aumentare i rendimenti.
Non è neanche sufficiente. L’uso del Mes, giustificato dalla sua capacità di concedere prestiti (410 miliardi), non risolverebbe il problema: su un prestito da 34 miliardi (il 2% del Pil) allo zero per cento, ha calcolato Gregory Claeys del Bruegel Institute, l’Italia risparmierebbe, a condizioni invariate, 510 milioni l’anno, lo 0,03% del Pil. Non avrebbe molto senso.
Senza contare le perplessità italiane (e non solo) sull’uso stesso del Mes e non, per esempio, della Bei: a parte la questione dello stigma, i suoi interventi impongono una condizionalità, inappropriata durante una profonda recessione esogena. Soprattutto, non è un’istituzione comunitaria, ma intergovernativa, in cui ciascun Paese ha un diritto di veto su ogni decisione.