Campari, il trasloco ad Amsterdam allerta la Consob
I fondi voltano le spalle a un iter che rende incerto l’esercizio del recesso
Consob aveva promesso di vigilare sulle assemblee a porte chiuse, e il caso Campari - che ha riunito gli azionisti venerdì scorso - è già finito all’attenzione degli uffici che stanno valutando il da farsi. Non è la parte ordinaria di approvazione del bilancio ad aver fatto accendere il tradizionale faro, quanto piuttosto la parte straordinaria per il trasferimento della sede in Olanda. La multinazionale controllata dalla famiglia Garavoglia è stata colta dalla tempesta da coronavirus nel bel mezzo di un iter già avviato per il trasloco ad Amsterdam. Il prezzo di recesso, che riflette la media delle quotazioni degli ultimi sei mesi, è stato fissato in 8,376 euro per azione, ben più alto rispetto agli attuali prezzi di Borsa: ieri il titolo si è fermato a 6,65 euro, cedendo un ulteriore 2,49%. Del resto è da metà febbraio che le quotazioni hanno perso il vantaggio sul recesso.
Campari ha deciso di andare avanti comunque, preannunciando una nuova assemblea entro fine giugno per annullare eventualmente il tutto se i recessi dovessero rivelarsi strabordanti. Una delle condizioni sospensive è il non superamento del tetto di 150 milioni, in aggiunta ai 76,5 milioni che l’azionista di maggioranza Lagfin si era impegnato a corrispondere, prima della pandemia, per assorbire le azioni restituite. Solo che il cda ha poi considerato che già 3 milioni fossero troppi e ha quindi comunicato che la prossima assemblea potrebbe revocare l’operazione, fermo restando che i titoli consegnati per il recesso sarebbero comunque congelati per 180 giorni e non più quindi nella disponibilità degli investitori. Campari ha precisato comunque che, se non si riuscirà a completare il trasferimento di sede come previsto, l’operazione sarà riproposta non appena la situazione tornerà alla normalità.
Non si può dire che gli azionisti fossero all’oscuro di tutto ciò, visto che ben due comunicati, del 16 e 19 marzo, illustravano la situazione. L’operazione è stata approvata a maggioranza venerdì dall’assemblea, anche se gran parte dei fondi ha votato contro. Per il mercato l’unica certezza, esercitando il diritto di recesso, è di non poter disporre delle azioni per sei mesi. Non votare a favore ovviamente è una precondizione per poter reclamare il recesso che scatta per la durata di 15 giorni dall’iscrizione della delibera assembleare nel registro delle imprese. Ad ogni modo, a prescindere dall’iter, nel merito già Iss - proxy advisor dei fondi - aveva consigliato di bocciare l’operazione perchè non ritenuta nell’interesse delle minoranze: la società, che si è già dotata del voto doppio all’italiana, col trasferimento ad Anmsterdam moltiplicherebbe per 20 i diritti di voto degli azionisti “fedeli”.
I fondi internazionali non ci vedono chiaro. La Consob non è certo l’organo deputato a risolvere eventuali contenziosi, ma nondimeno potrebbe intervenire, per esempio sollecitando il collegio sindacale a a esprimersi sulla correttezza della procedura. Resta una domanda: non sarebbe stato meglio per tutti rinviare a tempi migliori, senza tanti giri tortuosi?