PIATTAFORMA CON PECHINO PER IL DOPO VIRUS
Un giorno dopo la decisione del governo italiano di chiudere i voli da e per la Cina, il premier cinese Li Keqiang aveva chiesto aiuto all’Europa per far fronte all’emergenza coronavirus. E la presidente della Commissione Ursula von der Leyen rispose immediatamente fornendo alla Cina 12 tonnellate di forniture mediche e sanitarie.
Eravamo all’inizio di febbraio, e la Cina stava affrontando non solo la gravissima emergenza sanitaria, ma anche una forte pressione politica internazionale finalizzata al suo isolamento e alla accelerazione del disimpegno dal suo territorio dei siti produttivi delle imprese europee e americane. I teorici dell’economic decoupling, ovvero dello “smontaggio” dell’integrazione delle catene produttive tra la Cina e le altre economie sviluppate, avevano percepito il coronavirus come il “flagello di Dio” che avrebbe liberato il mondo dalla globalizzazione nella quale la Cina ha acquisito un ruolo sempre più centrale.
Dopo neppure due mesi la Cina sta riprendendo le attività produttive, in modo graduale e con le difficoltà organizzative connesse alla necessità di prevenire la ripresa dei contagi nelle fabbriche, e nello stesso tempo sta fornendo solidarietà e aiuti all’Europa quasi paralizzata dal coronavirus.
Negli ultimi 10 giorni il presidente Xi Jinping ha parlato direttamente con tutti i leader europei assicurando assistenza e confermando il suo «convinto impegno a rafforzare la partnership con l’Europa». Ed è certamente nel segno della partnership sino-europea la richiesta congiunta di Emmanuel Macron e Xi Jinping della convocazione di un G20 straordinario con l’obiettivo di definire un programma comune delle maggiori economie del pianeta sia per affrontare la crisi sanitaria in collaborazione con l’OMS, sia per concordare misure coordinate sul piano finanziario e monetario per “guidare” la ripresa dell’economia mondiale dopo la crisi e assicurare protezione alle economie più vulnerabili. Il G20, che si è tenuto giovedì in video conferenza, ha dato una prima risposta nella direzione indicata da Macron e Xi. Le più grandi potenze del pianeta si sono impegnate a sostenere l’economia mondiale con un’iniezione straordinaria di 5 miliardi di dollari per contrastare la disoccupazione e finanziare le misure sanitarie necessarie a superare la pandemia.
Subito dopo il G20 Donald Trump e Xi Jinping hanno avuto una amichevole e costruttiva conversazione per stabilire le linee di una solida collaborazione. A quanto pare il coronavirus, che avrebbe dovuto scardinare la globalizzazione e la cooperazione internazionale, sta sollecitando invece nuove occasioni e modalità per politiche e misure coordinate a livello globale. In questo contesto dinamico e in continua evoluzione l’Unione europea potrebbe avere un ruolo centrale. E invece stiamo perdendo tempo e opportunità.
Voglio ricordare che le iniziative diplomatiche e di cooperazione promosse dalla Cina, a partire da quelle con l’Italia, sono state interpretate da più parti come un tentativo aggressivo di disarticolare l’Europa, allentare i legami consolidati tra Europa e Usa, e “affiliare” all’egemonia cinese singoli Stati membri.
Questo ha messo in ombra il vero problema, ovvero l’incertezza dell’Unione europea, che non ha avuto la tempestività e la capacità di affrontare l’emergenza esplosa in Italia come una questione europea. È evidente che l’evoluzione e i contenuti dell’iniziativa cinese a livello globale spiegano che la Cina punta esplicitamente al rafforzamento della partnership con l’Unione europea, come ha ricordato alcuni giorni fa Li Keqiang alla Von der Leyen, anche in vista del Summit Ue-Cina previsto (coronavirus permettendo) per il prossimo settembre a Lipsia in Germania.
Oggi più che mai, considerato anche il nuovo quadro di riferimento internazionale dopo gli impegni assunti dal G20, la preparazione del vertice è l’occasione per disegnare una piattaforma globale per il futuro post-virus, valorizzando tra l’altro le indicazioni del New Green Deal approvato dal Parlamento europeo.
Sembrava che la gaffe di Cristine Lagarde avesse chiarito che l’Europa rischia di disintegrarsi sotto il peso di una nuova austerity, e la conversione rapida di Commissione europea e Bce verso politiche finanziarie e monetarie diverse aveva fatto sperare che l’Europa fosse pronta alle scelte straordinarie necessarie “in tempo di guerra” di cui Mario Draghi ha indicato obiettivi e contenuti.
Ma a quanto pare l’Eurogruppo e il Consiglio europeo sono ancora ostaggi del fronte conservatore dell’austerity: così l’Europa rischia di perdere la possibilità di essere il motore del “cambio” nelle relazioni e nell’economia globali, e a questo punto davvero si creano le condizioni per uno spezzatino dell’Europa.
Docente di Scienze ambientali alla Tsinghua University di Pechino
ed ex ministro dell’Ambiente