Le regole per una reazione positiva al lockdown
Informazioni precise e condivise, ma anche scelte razionali Sono i fattori chiave per limitare sentimenti negativi quali rabbia e confusione
La pandemia da Covid-19 rappresenta, fatte salve le dovute proporzioni, una sorta di “trattamento sanitario obbligatorio” (Tso) per ognuno di noi e per l’intera comunità. Luigi D’Elia, interpreta così, sul sito Psychyatry online, il momento che stiamo vivendo. Se è vero che l’isolamento sociale è un provvedimento sanitario inevitabile, bisogna anche fare in modo che sia quanto più possibile “volontario”, ovvero che nascesse da una condivisione delle scelte rese necessarie dall’emergenza. Altrimenti, come riporta una metanalisi su 24 studi pubblicata su Lancet e curata da un’equipe del King’s College di Londra coordinata da Samantha K Brooks, del dipartimento di Psicologia medica, si rischia di aprire la strada a un impatto negativo sul benessere psichico dei soggetti, con ulteriore difficoltà a dare risposte da parte dei sistemi sanitari. Secondo lo studio, i sentimenti dominanti in questa fase sono soprattutto rabbia e confusione, legate a paura dell’infezione, scarsa informazione, timore di perdere la stabilità economica.
Un’informazione precisa e la “condivisione” attraverso dati chiari e facilmente comprensibili delle conoscenze e del razionale delle scelte sono i fattori chiave per limitare l'impatto negativo di questi sentimenti montanti, che ovviamente crescono con il protrarsi del lockdown. Una corretta informazione, senza cadere nell’infodemia, ha anche il compito di non alimentare possibili posizioni “controfobiche” del tutto controproducenti. Un esempio? Le prime uscite pubbliche del premier britannico Boris Johnson (poi ampiamente ritrattate nei fatti) tese a proteggere il sistema economico e lo stile di vita, negando quindi il peso effettivo dell’infezione da Sars-Cov-2. «Nelle persone più fragili proprio l’eccesso di informazioni spesso discordanti può creare una vera e propria “desincronizzazione” tra la persona e il mondo esterno, favorendo l’insorgenza di ansia e depressione, ampliando così la percezione di isolamento, il vero nemico di chi si trova confinato a casa, anche se con il partner – spiega Mario Amore, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Università di Genova -. Per questo occorre curare più la qualità che la quantità dell’informazione: è un errore rimanere per ore davanti alla tv, ascoltando cifre e notizie negative, mentre potrebbe essere molto più utile il social network “dedicato”, come WhatsApp, con piccoli gruppi di persone che si aiutano a combattere l’isolamento. In questo modo si crea una rete di sostegno sociale che può aiutare a capire il valore di una scelta condivisa e a non sentirla come imposta».
Quindi la relazione interumana, seppur virtuale, diventa un antidoto efficace per combattere la solitudine e aiuta a contrastare la discrepanza tra desiderio di una vita normale “interrotta” dalle disposizioni per frenare la diffusione del virus e necessità di regole di contenimento del contatto sociale. «Questo divario, se non compensato da efficaci risposte mediate dalla resilienza, può creare una sensazione d’ansia, insicurezza e addirittura perdita di autostima, potendo virare, in persone particolarmente vulnerabili, anche nella disperazione e nella paura - fa sapere Amore -. Per questo è importante darsi delle regole che possono passare attraverso la creazione di una quotidianità gestita da ognuno di noi e non lasciata a situazioni fortuite. Dobbiamo essere in grado di gestire il tempo e non di essere “gestiti” dal trascorrere delle ore. In questo la partecipazione e il contatto, anche mediato dalla tecnologia condivisa, diventano strumenti irrinunciabili per trasformare il timore in paura “buona”».
Insomma, conoscere e darsi regole permette di avere una reazione positiva al distanziamento sociale, dando luogo a una paura dalla connotazione positiva, capace di aiutarci a divenire protagonisti e a “scegliere” più ragionevolmente quella sorta di Tso, che può diventare quindi volontario o almeno condiviso nei suoi obiettivi, grazie alla capacità di resilienza del singolo. La paura è un meccanismo biologico che salva qualsiasi animale, uomo compreso, che fa comunque parte del nostro adattamento al mondo che ci circonda e alle possibilità di risposta a un evento tanto sconosciuto e inatteso come la pandemia. Ma c’è un altro nemico che va sempre considerato in questa “clausura” che dobbiamo condividere. Si chiama noia. Anche questa sensazione può assumere (anche) una valenza positiva, come ricorda lo stesso D’Elia. «Se prima della pandemia fossi stato un top manager di una multinazionale, l’attribuzione sociale assegnata al mio tempo libero sarebbe stata considerata di valore assoluto e altissimo, praticamente oro – scrive su Psychiatryonline -. Viceversa, se fossi stato un disoccupato o un emarginato, il mio tempo libero sarebbe stato di valore zero o poco più». La pandemia diventa quindi un’occasione per dare una nuova dimensione al tempo libero. In questo senso «la noia non è l’apatia – segnala D’Elia -. L’apatia è rassegnazione nell’impotenza, è calma piatta, inerzia. La noia è inquietudine, è interiormente vitalissima, è insoddisfazione, irrequietezza».