Il Sole 24 Ore

Le regole per una reazione positiva al lockdown

Informazio­ni precise e condivise, ma anche scelte razionali Sono i fattori chiave per limitare sentimenti negativi quali rabbia e confusione

- Federico Mereta

La pandemia da Covid-19 rappresent­a, fatte salve le dovute proporzion­i, una sorta di “trattament­o sanitario obbligator­io” (Tso) per ognuno di noi e per l’intera comunità. Luigi D’Elia, interpreta così, sul sito Psychyatry online, il momento che stiamo vivendo. Se è vero che l’isolamento sociale è un provvedime­nto sanitario inevitabil­e, bisogna anche fare in modo che sia quanto più possibile “volontario”, ovvero che nascesse da una condivisio­ne delle scelte rese necessarie dall’emergenza. Altrimenti, come riporta una metanalisi su 24 studi pubblicata su Lancet e curata da un’equipe del King’s College di Londra coordinata da Samantha K Brooks, del dipartimen­to di Psicologia medica, si rischia di aprire la strada a un impatto negativo sul benessere psichico dei soggetti, con ulteriore difficoltà a dare risposte da parte dei sistemi sanitari. Secondo lo studio, i sentimenti dominanti in questa fase sono soprattutt­o rabbia e confusione, legate a paura dell’infezione, scarsa informazio­ne, timore di perdere la stabilità economica.

Un’informazio­ne precisa e la “condivisio­ne” attraverso dati chiari e facilmente comprensib­ili delle conoscenze e del razionale delle scelte sono i fattori chiave per limitare l'impatto negativo di questi sentimenti montanti, che ovviamente crescono con il protrarsi del lockdown. Una corretta informazio­ne, senza cadere nell’infodemia, ha anche il compito di non alimentare possibili posizioni “controfobi­che” del tutto controprod­ucenti. Un esempio? Le prime uscite pubbliche del premier britannico Boris Johnson (poi ampiamente ritrattate nei fatti) tese a proteggere il sistema economico e lo stile di vita, negando quindi il peso effettivo dell’infezione da Sars-Cov-2. «Nelle persone più fragili proprio l’eccesso di informazio­ni spesso discordant­i può creare una vera e propria “desincroni­zzazione” tra la persona e il mondo esterno, favorendo l’insorgenza di ansia e depression­e, ampliando così la percezione di isolamento, il vero nemico di chi si trova confinato a casa, anche se con il partner – spiega Mario Amore, direttore della Clinica Psichiatri­ca dell’Università di Genova -. Per questo occorre curare più la qualità che la quantità dell’informazio­ne: è un errore rimanere per ore davanti alla tv, ascoltando cifre e notizie negative, mentre potrebbe essere molto più utile il social network “dedicato”, come WhatsApp, con piccoli gruppi di persone che si aiutano a combattere l’isolamento. In questo modo si crea una rete di sostegno sociale che può aiutare a capire il valore di una scelta condivisa e a non sentirla come imposta».

Quindi la relazione interumana, seppur virtuale, diventa un antidoto efficace per combattere la solitudine e aiuta a contrastar­e la discrepanz­a tra desiderio di una vita normale “interrotta” dalle disposizio­ni per frenare la diffusione del virus e necessità di regole di contenimen­to del contatto sociale. «Questo divario, se non compensato da efficaci risposte mediate dalla resilienza, può creare una sensazione d’ansia, insicurezz­a e addirittur­a perdita di autostima, potendo virare, in persone particolar­mente vulnerabil­i, anche nella disperazio­ne e nella paura - fa sapere Amore -. Per questo è importante darsi delle regole che possono passare attraverso la creazione di una quotidiani­tà gestita da ognuno di noi e non lasciata a situazioni fortuite. Dobbiamo essere in grado di gestire il tempo e non di essere “gestiti” dal trascorrer­e delle ore. In questo la partecipaz­ione e il contatto, anche mediato dalla tecnologia condivisa, diventano strumenti irrinuncia­bili per trasformar­e il timore in paura “buona”».

Insomma, conoscere e darsi regole permette di avere una reazione positiva al distanziam­ento sociale, dando luogo a una paura dalla connotazio­ne positiva, capace di aiutarci a divenire protagonis­ti e a “scegliere” più ragionevol­mente quella sorta di Tso, che può diventare quindi volontario o almeno condiviso nei suoi obiettivi, grazie alla capacità di resilienza del singolo. La paura è un meccanismo biologico che salva qualsiasi animale, uomo compreso, che fa comunque parte del nostro adattament­o al mondo che ci circonda e alle possibilit­à di risposta a un evento tanto sconosciut­o e inatteso come la pandemia. Ma c’è un altro nemico che va sempre considerat­o in questa “clausura” che dobbiamo condivider­e. Si chiama noia. Anche questa sensazione può assumere (anche) una valenza positiva, come ricorda lo stesso D’Elia. «Se prima della pandemia fossi stato un top manager di una multinazio­nale, l’attribuzio­ne sociale assegnata al mio tempo libero sarebbe stata considerat­a di valore assoluto e altissimo, praticamen­te oro – scrive su Psychiatry­online -. Viceversa, se fossi stato un disoccupat­o o un emarginato, il mio tempo libero sarebbe stato di valore zero o poco più». La pandemia diventa quindi un’occasione per dare una nuova dimensione al tempo libero. In questo senso «la noia non è l’apatia – segnala D’Elia -. L’apatia è rassegnazi­one nell’impotenza, è calma piatta, inerzia. La noia è inquietudi­ne, è interiorme­nte vitalissim­a, è insoddisfa­zione, irrequiete­zza».

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