«Sarà necessario ripensare a come investire in ricerca»
In queste settimane abbiamo assistito al progressivo indebolimento di tutti gli argomenti antiscientifici che conoscevamo. Pensiamo all’opposizione ai vaccini che, da tempo, erano messi in discussione con tale pervicacia che esponenti di questo pensiero sono persino finiti in Parlamento. Abbiamo sentito parlare di soluzioni fantasiose per prevenire le malattie infettive evitando l’uso dei vaccini. I veri esperti venivano emarginati e le loro valutazioni scientifiche erano derubricate a pareri. Nel nostro Paese si è ridotta la copertura vaccinale e ha preso piede l’idea che la vaccinazione di massa fosse una forma che limitasse le libertà individuali anziché una strategia di salute pubblica per contenere il rischio nei confronti delle componenti fragili della popolazione.
Adesso stiamo affrontando questa realtà: è la diffusione di un virus, nei confronti del quale non abbiamo una “immunità di gregge”, a costringerci a vere misure coercitive. La ridotta libertà individuale, decretata in questi giorni dalla giusta esigenza di tutela della salute pubblica, non è stata imposta da poteri occulti ma da una pandemia. Progressivamente nel tempo l’umanità ha evitato malattie gravissime e spesso mortali grazie alle vaccinazioni. Una società che non conosce questa storia e l’attenzione che si è posta alla salute pubblica, può anche inventarsi che queste malattie si curano con l’omeopatia, ma solo finché il problema non riemerge con violenza e drammaticità, come oggi. In questi giorni molti medici che stanno curando le persone colpite dal virus stanno iniziando a somministrare farmaci disponibili per altre indicazioni sperando possano contenere i danni dell’infezione. I farmaci, e si spera il vaccino che tutti aspettiamo come la manna, sono e saranno il frutto di un lungo lavoro di ricerca che tra l’altro richiede un ampio impiego di modelli animali di laboratorio. Con buona pace dei detrattori della sperimentazione animale, che in questi anni, oltre a imperversare con messaggi fuorvianti, hanno portato il nostro Paese a non adeguarsi alla direttiva europea in materia.
Quindi forse oggi, in un momento così drammatico, potremmo sperare che ex malo bonum e pensare che questa crisi favorisca una rivalutazione dei pilastri fondamentali della ricerca: un adeguato e regolare finanziamento, processi di valutazione che garantiscano una selezione rigorosa, attenzione all’innovazione delle nostre infrastrutture e dei nostri laboratori per rimanere al passo con gli standard internazionali e fiducia nella capacità del sistema di sottoporsi continuamente a verifica. Si pensi alla pubblicazione dei dati scientifici su riviste internazionali, meccanismo che rende immediatamente controllabili e utilizzabili i dati attraverso la loro condivisione universale. Solo attraverso un lungo percorso di ricerca nascono le nuove terapie: è un percorso non privo di rischi prima di arrivare all’impiego nell’uomo, ma anche ricco di piacevoli sorprese. Spesso le soluzioni possono arrivare anche da ambiti apparentemente distanti fra loro, come la terapia genica, sviluppata come farmaco per la prima volta al mondo in Italia per curare rarissime malattie monogeniche. Questa piattaforma così innovativa ha nel tempo trovato anche altre applicazioni: dalla terapia di alcuni tumori del sangue, al vaccino per l’Ebola di cui si parla in questi giorni. Alla base c’è sempre l’impiego di vettori virali per veicolare geni che istruiscano il sistema immunitario a reagire: ora questa è una delle strade perseguite per mettere a punto un vaccino per il coronavirus. Senza dubbio questa situazione ci ha fatto scoprire una fragilità dell’uomo a cui non pensavamo più. Al contempo però può aiutarci a prendere atto che se per molti anni non abbiamo avuto evenienze del genere è grazie all’ingegno dell’uomo che ha messo a punto strumenti potenti di prevenzione e cura.
La storia ci ha dimostrato che ne siamo capaci, ma per continuare a esserlo e superare questa crisi dovremo continuare a investire in innovazione, tecnologia e formazione. E a proposito di investimento, un pensiero va rivolto alla nostra sanità: l’epidemia ha messo in luce non solo il grande valore del nostro sistema sanitario, ma anche gravi problemi di carenza di personale. Formiamo medici che affrontano un lungo percorso di studi e poi non creiamo le condizioni perché accedano alla scuola di specializzazione. Si giunge così alle pesanti condizioni odierne: pochi medici e infermieri e strutture ospedaliere ridotte e poco flessibili. Se nonostante questo si riesce a far fronte all’emergenza è grazie alla grande abnegazione di professionisti malpagati, che prima di questi grandi apprezzamenti, erano troppo spesso sottovalutati. Il Paese intero sta dando prova di grande solidarietà, speriamo che nel momento della ripresa se ne faccia tesoro e si creino le condizioni per non farsi trovare più impreparati.
Direttore generale Fondazione Telethon
FRANCESCA PASINELLI Direttore generale Fondazione Telethon