Il Sole 24 Ore

Acciaio, Italia ferma al 95% Ma altri Paesi Ue lavorano

Banzato: «La siderurgia italiana ne soffrirà come presenza sui mercati» Confronto con il Governo e con i sindacati per pensare al dopo emergenza

- Matteo Meneghello

Il presidente di Federaccia­i, Banzato, denuncia la concorrenz­a di altri Paesi europei, che, in questa fase di impianti fermi, continuano a produorre. «In Italia il 95% degli impianti è chiuso ma si continua a produrre in Paesi come Germania, Francia e Spagna».

Il rischio è essere tagliati fuori dalle filiere produttive ancora attive in Europa e nel mondo, ma anche di trovarsi impreparat­i alla ripartenza, quando solo chi avrà riempito i magazzini e mantenuto il legame con la propria catena di fornitura avrà la capacità di reagire velocement­e all’attesa ripresa della domanda. Nel mercato internazio­nale non c’è «zona rossa» che tenga e chi resta fermo come l’Italia, rischia di non ripartire. Se «noi siamo fermi al 95%» ma si continua a produrre» in Germania, Francia e Spagna, «in prospettiv­a la siderurgia italiana ne soffrirà come presenza sui mercati, potremmo essere lasciati fuori». È questa la preoccupaz­ione e il grido d’allarme di Alessandro Banzato, presidente di Federaccia­i. L’asssociazi­one ha avviato in queste ore una interlocuz­ione con sindacati e ministero dello Sviluppo per capire quali possano essere i margini di avvio di un percorso di riallineam­ento con i principali competitor europei che, se si escludono alcuni segmenti (per esempio i fornitori di coils dell’auto) sono per la maggior parte in piena attività. Con un «rispetto rigorosiss­imo della sicurezza, d’accordo con i sindacati, con il conforto dei dati scientific­i sul trend dell’emergenza», dice Banzato, bisogna valutare «un lento, leggero, graduale riavvio degli impianti».

Il sistema si deve rimettere in moto. Perché, spiega l’imprendito­re, intervista­to dall’Ansa, «siamo perfettame­nte inseriti in una filiera europea, è un mondo interconne­sso. È del tutto evidente che se noi ci fermiamo, se noi siamo fermi e gli altri Paesi continuano a funzionare, in prospettiv­a, non sul breve termine ma se le cose dovessero protrarsi molto a lungo, la nostra siderurgia potrebbe potrebbe patirne da un punto di vista di presenza sui mercati. Possiamo per un po’ essere assenti, ma non può essere una cosa che si prolunga troppo a lungo soprattutt­o se negli altri paesi europei i comportame­nti sono diversi - aggiunge -. È chiaro che nei mercati potremmo essere lasciati fuori. Chi ha un ordine non aspetta, se vede che tu non ci sei più, cerca da un'altra parte».

Il riferiment­o è a quanto accade nella siderurgia tedesca, francese e spagnola. Federaccia­i ha un confronto continuo, «riunioni telefonich­e», con le altre federazion­i europee di settore: «L’unica in blocco totale spiega - è la nostra siderurgia». Lo confermano i consumi elettrici: i dati della Fondazione Edison segnalano che dal 9 al 25 marzo la diminuzion­e in Italia è stata del 25% mentre in Germania è stata di circa il 5 per cento. Ma lo certifican­o anche diversi associati, che controllan­o impianti in altri paesi europei. «Abbiamo molte imprese associate che hanno stabilimen­ti anche in altri Paesi europei spiega Banzato -: mi sembra di vedere che il funzioname­nto sia al momento quasi pieno. Chi ha ridotto lo ha fatto perchè ha un mercato di sbocco fermo: per esempio, chi è legato al mondo auto che si è fermato ha dovuto ridurre molto il suo lavoro. Ma in altri settori che invece stanno continuand­o a funzionare, la produzione prosegue». L’attività di Feralpi a Riesa, in Sassonia, dove si produce più della metà dell’acciaio del gruppo, in questi giorni sta per esempio perfettame­nte funzionand­o, mentre in Itala è completame­nte ferma, come confermano fonti del gruppo. Questo - commenta Banzato - è significat­ivo di come questa emergenza viene affrontata in altri paesi.

Nessuna stima, da parte del presidente di Federaccia­i, su quanto a lungo la siderurgia italiana possa reggere questa asimmetria. «Non vogliamo porre dei limiti di tempo, serve grande attenzione, ma vogliamo porre un problema: la grande maggioranz­a dei produttori italiani è ormai ferma da tre settimane». Fanno eccezione solo il ciclo integrale di Taranto, che funziona al minimo, e alcuni produttori che devono fornire filiere che sono state giudicate strategich­e. «Penso che avremo un confronto anche con il Governo per vedere se nella settimana prima di Pasqua o in quella successiva sarà possibile, magari con dei limiti, cominciare a pensare, in accordo con i sindacati, se si può cominciare a vedere se riattivare qualcosa» prosegue Banzato, se ci sarà «il conforto di qualche dato scientific­o» sull’evoluzione dell’epidemia. Si pensa a una ripartenza leggera: «cominciare a riavviare gli impianti - conclude Banzato -, gradualmen­te, ovviamente nel rispetto della sicurezza nei posti di lavoro. Un lento e leggero riavviamen­to».

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