Il Sole 24 Ore

Non solo spesa, la recessione farà impennare il disavanzo

- Dino Pesole

Con il Pil che sprofonder­à quest’anno a -6%, ma solo a patto che la crisi pandemica si arresti a maggio, come prevede il Centro studi di Confindust­ria, il deficit del 2020 è destinato a salire per attestarsi anche oltre il 5% in rapporto al Pil (Goldman Sachs si spinge fino al 10%) con il debito che supererà il 150 per cento. Scenari allarmanti, ma realistici all’attenzione di Palazzo Chigi e del Mef, di cui daranno conto prima la nuova richiesta di sforamento del deficit che il Governo si appresta a formalizza­re in Parlamento, poi il Documento di economia e finanza in arrivo entro aprile.

Il margine di oscillazio­ne è ancora notevole. Per questo è decisivo che il Governo metta a punto al più presto una “exit strategy” per il dopo crisi, in grado di dispiegare i suoi effetti a partire dalla seconda metà dell’anno. Investimen­ti senza vincoli e deroghe, ampio ricorso all'intervento pubblico a sostegno delle imprese e delle famiglie all’interno di un vero e proprio «piano per la ricostruzi­one» dell’economia nazionale che faccia seguito al primo intervento di emergenza da 25 miliardi e al secondo che arriverà a breve per altri 30 miliardi.

Il bazooka messo in campo dalla Bce alleggerir­à non poco il peso del finanziame­nto del debito nel 2020, e la sospension­e di fatto del Patto di stabilità libera dal vincolo del rispetto del percorso di rientro dal deficit struttural­e. Se poi, prima in sede di confronto tra i governi europei si individuer­à la strada per uno o più strumenti in grado di mettere in moto un massiccio volume di risorse, si potrà guardare alla ripresa con minore apprension­e. Occorre unità di intenti e massima determinaz­ione, a livello interno e nel confronto con gli altri paesi europei.

Di certo, se si guarda alla serie storica, quella che stiamo attraversa­ndo si prospetta come la peggiore recessione dal secondo dopoguerra e una delle più profonde dall’Unità d'Italia, escludendo le due guerre mondiali (nel 1944 il Pil crollò del 19,3% mentre la recessione che seguì la grande crisi del 1929 provocò una contrazion­e del prodotto del 4,6%).

Per rintraccia­re precedenti più vicini a noi, occorre risalire al 1975 quando la repentina contrazion­e del Pil (-2,4%) intervenne a interrompe­re bruscament­e un trend che aveva visto l’economia italiana mantenere, sull’onda del boom degli anni Sessanta, tassi di crescita di tutto rispetto. Un anno prima, nel 1974, l’inflazione aveva raggiunto nel nostro paese il picco del 20% su base annua. Il 1975 registrò una simultanea caduta degli investimen­ti e del livello assoluto del reddito nazionale. La produzione industrial­e diminuì in quell'anno del 9,5% e quella manifattur­iera del 10,2%.

Nel 1992, l’anno della gravissima crisi finanziari­a che culminò nella svalutazio­ne della lira, nell’uscita della lira dal sistema di cambio europeo e nella maxi- manovra di risanament­o messa in atto dal governo Amato, provocò per sei trimestri consecutiv­i una perdita cumulata del prodotto dell’1,9% con la spesa in beni durevoli che crollò del 23,5%, e con l’occupazion­e che registrò una contrazion­e del 5% tra il 1992 e il 1995. Infine, nel 2009 al culmine della grave crisi finanziari­a esplosa negli Stati Uniti, il Pil crollò del 4,9 per cento.

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