Il Sole 24 Ore

Euro debole, il segnale del rischio politico in Europa

Il dollaro, in scia alla Fed, dovrebbe essere meno forte rispetto alla moneta unica

- Vittorio Carlini

Ieri l’euro, rispetto al dollaro, ha toccato il livello di 1,09. Certo: il 22 marzo scorso il tasso di cambio era ancora più giù a 1,067. E, tuttavia, le attuali quotazioni segnalano la debolezza della moneta unica. La quale, secondo il Big Mac Index, sarebbe sottovalut­ata di circa il 20%. Il che non dovrebbe essere. Vediamo i perché.

La Federal reserve, in risposta alla prevista gelata economica negli Stati Uniti (e non solo) dovuta al Covid-19, ha avviato una politica monetaria ultra espansiva illimitata. Un mix di mosse senza precedenti, come mostra la stessa recente possibilit­à, offerta alle altre banche centrali, di temporanea­mente scambiare i Titoli di Stato Usa in loro possesso con dollari. Quei dollari che, peraltro, sono previsti arrivare in quantità notevole anche grazie al maxi piano di aiuti da 2.000 miliardi approvato dal Parlamento. Insomma: un flusso “monstre” di biglietti verdi. Il quale, costituend­o una forte spinta dal lato dell’offerta, dovrebbe avere l’effetto di fare calare il valore della divisa statuniten­se. In particolar­e verso l’euro. Questo, tuttavia, finora non accade. Ci sono, evidenteme­nte, delle forze che contrastan­o la discesa.

Già, ma quali? Una, la più facile da inquadrare nel radar, attiene sempre alle politiche monetarie ed è esercitata dalla Bce. L’istituto presieduto da Christine Lagarde ha anch’esso approntato, come altre banche centrali, il proprio “bazooka” anti-recessione. Una strategia dove, ad esempio, sono state di fatto eliminate le “capital key” (tetto massimo di acquisti pro quota di titoli governativ­i emessi da ogni singolo Stato dell’Emu) riguardo allo shopping di asset. Si tratta di un programma che, di là dall’ammontare e dalle tecnicalit­à, concretizz­a anche in Europa una mega-iniezione di euro sul mercato. Il che indebolisc­e, a sua volta, la moneta di Eurolandia.

La quale tuttavia, a detta di vari esperti, ha comunque una quotazione eccessivam­ente bassa rispetto al dollaro. Non giustifica­bile con la sola Bce. Insomma: deve esserci qualcos’altro. «A ben vedere- spiega Antonio Cesarano, chief global strategy di Intermonte advisory- negli Stati Uniti, nonostante gli sforzi della Fed, persiste una forte e prepondera­nte domanda di dollari. C’è richiesta di liquidità, soprattutt­o da parte delle imprese per fronteggia­re l’emergenza». Si tratta di una situazione che, indirettam­ente, è provata dall’andamento del Libor. Il tasso interbanca­rio a 3 mesi, nonostante la Fed abbia ridotto il costo del denaro, nella seconda parte di Marzo è salito. «Il chiaro segnale di come, da un lato, la domanda di “dollari fruscianti” persista»; e, dall’altro, che gli istituti finanziari non si fidano molto della contropart­e e richiedono un maggiore premio al rischio.

Ma non è solo questione di fiducia. Ci sono anche gli effetti collateral­i. Così accade, ad esempio, con la dilazione del pagamento delle rate dei mutui concessa alle famiglie dal maxi piano anti-crisi. Questi “mortgage” sono spesso cartolariz­zati e il compito d’incassare le rate è in capo a società terze (non di rado banche). Ebbene: nel momento in cui, a causa della dilazione, il flusso delle rate viene meno i soggetti terzi entrano in difficoltà e chiedono liquidità. Di nuovo si crea altra domanda che tiene su la quotazione della divisa Usa.

Fin qui alcune suggestion­i su politiche monetarie e richiesta di liquidità. Tuttavia c’è un altro elemento che pesa sul cambio euro-dollaro: l’incertezza politica in Europa. Lorenzo Batacchi, socio Assiom Forex e portfolio manager di Bper Banca, richiama l’attenzione sulla «dinamica del mercato delle opzioni che individuan­o il costo per coprirsi sul cambio stesso. Se il costo cresce significa che il biglietto verde salirà, e viceversa. Ebbene: quello cui si assiste in questi giorni è il continuo “su e giù” delle quotazioni delle opzioni a 3 mesi». Cioè: gli operatori non sanno quale potrà essere il futuro dell’euro-dollaro. Incide, con evidenza, lo scontro tra i Paesi mediterran­ei (Italia e Spagna in testa)e quelli nordici (Germania e Olanda) sulle misure per contrastar­e l’emergenza economico-sanitaria. Di nuovo, come nella crisi del debito sovrano, echeggiano i timori sulla tenuta dell’euro. Ed è questo che, ad oggi, più di tutto tiene schiacciat­e le quotazioni della divisa di Eurolandia.

Incide lo scontro tra i Paesi del Mediterran­eo e quelli del Nord sui mezzi per risolvere la drammatica crisi

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