Euro debole, il segnale del rischio politico in Europa
Il dollaro, in scia alla Fed, dovrebbe essere meno forte rispetto alla moneta unica
Ieri l’euro, rispetto al dollaro, ha toccato il livello di 1,09. Certo: il 22 marzo scorso il tasso di cambio era ancora più giù a 1,067. E, tuttavia, le attuali quotazioni segnalano la debolezza della moneta unica. La quale, secondo il Big Mac Index, sarebbe sottovalutata di circa il 20%. Il che non dovrebbe essere. Vediamo i perché.
La Federal reserve, in risposta alla prevista gelata economica negli Stati Uniti (e non solo) dovuta al Covid-19, ha avviato una politica monetaria ultra espansiva illimitata. Un mix di mosse senza precedenti, come mostra la stessa recente possibilità, offerta alle altre banche centrali, di temporaneamente scambiare i Titoli di Stato Usa in loro possesso con dollari. Quei dollari che, peraltro, sono previsti arrivare in quantità notevole anche grazie al maxi piano di aiuti da 2.000 miliardi approvato dal Parlamento. Insomma: un flusso “monstre” di biglietti verdi. Il quale, costituendo una forte spinta dal lato dell’offerta, dovrebbe avere l’effetto di fare calare il valore della divisa statunitense. In particolare verso l’euro. Questo, tuttavia, finora non accade. Ci sono, evidentemente, delle forze che contrastano la discesa.
Già, ma quali? Una, la più facile da inquadrare nel radar, attiene sempre alle politiche monetarie ed è esercitata dalla Bce. L’istituto presieduto da Christine Lagarde ha anch’esso approntato, come altre banche centrali, il proprio “bazooka” anti-recessione. Una strategia dove, ad esempio, sono state di fatto eliminate le “capital key” (tetto massimo di acquisti pro quota di titoli governativi emessi da ogni singolo Stato dell’Emu) riguardo allo shopping di asset. Si tratta di un programma che, di là dall’ammontare e dalle tecnicalità, concretizza anche in Europa una mega-iniezione di euro sul mercato. Il che indebolisce, a sua volta, la moneta di Eurolandia.
La quale tuttavia, a detta di vari esperti, ha comunque una quotazione eccessivamente bassa rispetto al dollaro. Non giustificabile con la sola Bce. Insomma: deve esserci qualcos’altro. «A ben vedere- spiega Antonio Cesarano, chief global strategy di Intermonte advisory- negli Stati Uniti, nonostante gli sforzi della Fed, persiste una forte e preponderante domanda di dollari. C’è richiesta di liquidità, soprattutto da parte delle imprese per fronteggiare l’emergenza». Si tratta di una situazione che, indirettamente, è provata dall’andamento del Libor. Il tasso interbancario a 3 mesi, nonostante la Fed abbia ridotto il costo del denaro, nella seconda parte di Marzo è salito. «Il chiaro segnale di come, da un lato, la domanda di “dollari fruscianti” persista»; e, dall’altro, che gli istituti finanziari non si fidano molto della controparte e richiedono un maggiore premio al rischio.
Ma non è solo questione di fiducia. Ci sono anche gli effetti collaterali. Così accade, ad esempio, con la dilazione del pagamento delle rate dei mutui concessa alle famiglie dal maxi piano anti-crisi. Questi “mortgage” sono spesso cartolarizzati e il compito d’incassare le rate è in capo a società terze (non di rado banche). Ebbene: nel momento in cui, a causa della dilazione, il flusso delle rate viene meno i soggetti terzi entrano in difficoltà e chiedono liquidità. Di nuovo si crea altra domanda che tiene su la quotazione della divisa Usa.
Fin qui alcune suggestioni su politiche monetarie e richiesta di liquidità. Tuttavia c’è un altro elemento che pesa sul cambio euro-dollaro: l’incertezza politica in Europa. Lorenzo Batacchi, socio Assiom Forex e portfolio manager di Bper Banca, richiama l’attenzione sulla «dinamica del mercato delle opzioni che individuano il costo per coprirsi sul cambio stesso. Se il costo cresce significa che il biglietto verde salirà, e viceversa. Ebbene: quello cui si assiste in questi giorni è il continuo “su e giù” delle quotazioni delle opzioni a 3 mesi». Cioè: gli operatori non sanno quale potrà essere il futuro dell’euro-dollaro. Incide, con evidenza, lo scontro tra i Paesi mediterranei (Italia e Spagna in testa)e quelli nordici (Germania e Olanda) sulle misure per contrastare l’emergenza economico-sanitaria. Di nuovo, come nella crisi del debito sovrano, echeggiano i timori sulla tenuta dell’euro. Ed è questo che, ad oggi, più di tutto tiene schiacciate le quotazioni della divisa di Eurolandia.
Incide lo scontro tra i Paesi del Mediterraneo e quelli del Nord sui mezzi per risolvere la drammatica crisi