IL PRESSING SU GUALTIERI CHE HA LO SCUDO DI PD (E COLLE)
C’è sempre un momento, anche in tempi ordinari e non eccezionali come questo, in cui il ministro dell'Economia diventa bersaglio del pressing dei partiti, delle volte degli stessi leader. È successo quasi in ogni legislatura e Governo, anche nella storia recentissima, basta pensare all'ex titolare del Tesoro Padoan oppure a Giovanni Tria che su vicende diverse e con leader diversi a un certo punto sono finiti nel tritacarne della politica. Normalmente avviene nella stagione della legge di bilancio e non solo per spingere sull'entità delle risorse e sulle misure ma soprattutto per forzare il rapporto con l'Europa. A Roberto Gualtieri sta succedendo adesso, con qualche differenza rispetto ai suoi predecessori innanzitutto per le circostanze che non appartengono certo alla normalità delle scadenze finanziarie. Ma l'altra differenza, quella più consistente, è che intorno a lui il partito fa quadrato: nel senso che Zingaretti, Franceschini e Gentiloni lo sostengono convintamente e lo stesso accade con il capo dello Stato che viene costantemente aggiornato dal ministro. Insomma, la sindrome d'assedio potrebbe cogliere anche l'attuale titolare dell'Economia ma a rassicurarlo ci sono non solo i principali esponenti del suo partito ma pure il Colle. E per una ragione che non si declina solo con la necessità di stabilità in una fase come questa ma ha a che fare con i suoi rapporti in Europa. Viene considerato come l'unico in grado di dialogare non solo con i leader e capi di governo Ue ma pure con quella burocrazia di Bruxelles che poi materialmente scrive le norme e traduce gli accordi politici.
Questo non toglie però che in questi giorni sia finito nel mirino. Qualcuno dice perfino perché potrebbe diventare una carta spendibile per un eventuale nuovo Esecutivo se il Conte II non dovesse reggere, ma questo fa parte dei rumors dei parlamentari inquieti o di quelli che interpretano le uscite dei renziani come tentativi – pian piano – di buttare giù l'attuale Governo. In realtà le ragioni del pressing che si sente al Mef attengono a questioni molto più pratiche e molto più attinenti ai profili identitari dei partiti. Per esempio, con i 5 Stelle la questione non è solo sulla quantità di risorse da mettere sul piatto del decreto di aprile – che vorrebbero arrivasse fino a 50 miliardi – e sulle misure come il reddito di emergenza pensato per una platea molto più ampia di quella immaginata al Mef, ma c'è soprattutto il tema europeo. Qual è il punto? Che i 5 Stelle insistono sugli eurobond che già Gentiloni ha messo fuori dal negoziato per indisponibilità di Berlino mentre il Mes è diventato un bersaglio ideologico per non farsi scavalcare da Salvini-Meloni. Per Gualtieri, invece, potrebbe essere una delle strade da percorrere per trovare una mediazione con la Germania. Un Fondo senza condizionalità stringenti e che sia in grado di dare benzina quando quella che ci sta fornendo oggi la Bce dovesse cominciare a essere insufficiente. Se insomma, adesso è Francoforte che ci dà una mano con la potenza di fuoco messa in campo nelle scorse settimane, tra un paio di mesi Gualtieri vorrebbe costruire una strategia fatta di più tasselli tra cui un Mes rivisto e uno strumento finanziario costruito in ambito Bei. Un percorso tutto da fare non solo in Europa ma da far digerire anche a Roma.