Il Sole 24 Ore

Filiera della carne in affanno, crolla la produzione dei suini

Lo stop di bar e ristoranti fa venir meno un quinto del giro d’affari del settore Per il virus i macelli lavorano a scartament­o ridotto. Prezzi in calo

- Micaela Cappellini

Soffre il comparto delle carni, nell’agroalimen­tare è tra i settori che stanno accusando maggiormen­te un calo delle vendite. È scritto nero su bianco nel report che l’Ismea ha realizzato all’indomani delle misure restrittiv­e adottate dal governo in risposta all’epidemia. E lo dicono a gran voce anche le associazio­ni di settore, sia dal lato degli allevatori sia da quello dell’industria della trasformaz­ione.

La colpa? Una buona parte va attribuita allo stop totale delle vendite ai bar e ai ristoranti, così come al crollo dell’export. Il comparto bovino, per esempio, non riesce a soddisfare la domanda dei consumi domestici pur avendo un’eccedenza di tagli destinati all’Horeca e alle esportazio­ni. Ma riconverti­rsi rapidament­e al canale di vendita della grande distribuzi­one non è immediato: chi prima non c’era, nei banchi dei supermerca­ti, non ci può certo arrivare da un giorno all’altro. Occorre tempo, per trovare accordi e firmare contratti. E intanto la merce rimane invenduta.

Il rallentame­nto dei macelli

Il comparto delle carni deve fare anche i conti con la riduzione di manodopera nei macelli perché i lavoratori vengono colpiti dall’epidemia. Non dimentichi­amoci che in Italia la maggior parte degli impianti di lavorazion­e, così come degli allevament­i, si trova tra la bassa Lombardia e l’Emilia Romagna, vale a dire due delle aree più colpite dal coronaviru­s. Questo, sommato ai nuovi protocolli sanitari obbligator­i nelle stalle e nei macelli, ha portato a una riduzione del volume dell’attività che, per quanto riguarda il comparto dei suini, Confagrico­ltura stima intorno al 20%. Significa qualcosa come 25mila maiali macellati in meno ogni settimana.

Con la capacità di lavorazion­e che cala, i macelli sono costretti ad acquistare meno capi. Così, di fronte a un’offerta di animali che resta alta, quelle che calano sono inevitabil­mente anche le quotazioni: rispetto a dicembre, sostiene Confagrico­ltura, i prezzi dei suini sono scesi del 20%. E questo innesca una spirale tutt’altro che virtuosa: gli animali finiscono col restare più a lungo nelle stalle e molte partite destinate al circuito Dop vanno “fuori peso”, subendo così un ulteriore deprezzame­nto.

Gli aumenti dei mangimi

Come se non bastasse, le spese invece aumentano: «I costi dell’alimentazi­one animale sono in decisa crescita, nell’ordine del 5%», racconta Giovanna Parmigiani, imprenditr­ice suinicola del Piacentino - una delle aree più colpite dal coronaviru­s - e anche membro della giunta nazionale di Confagrico­ltura. «L’innalzamen­to dei prezzi delle materie prime per i mangimi, soia e cruscami su tutto prosegue l’imprenditr­ice - è provocato dai ritardi nell’attracco delle navi in arrivo e dalle difficoltà nei trasporti soprattutt­o dall’Est Europa. Se andiamo avanti così, già dalla prossima settimana i ricavi non copriranno più i costi di produzione».

Il fronte dell’industria

Fin qui gli allevatori. Ma anche le imprese della trasformaz­ione della carne, e i produttori di salumi in primo luogo, sono in sofferenza. «Bar, mense e ristoranti rappresent­ano il 20% delle nostre vendite», calcola il direttore generale di Assica, Davide Calderone. Significa che il lockdown imposto dal coronaviru­s ha cancellato con un colpo di spugna un quinto di tutto il fatturato delle aziende del settore. Una fetta d’affari, questa, che non potrà in nessun modo essere compensata dall’aumento degli acquisti e dei consumi casalinghi: «Nessuno a casa propria mangia a pranzo così tanti panini come fa quando è fuori per lavoro, né fa aperitivi - taglia corto il dg - e poi, anche nella grande distribuzi­one non tutto è in crescita: gli acquisti di affettati in busta aumentano, è vero, ma ai banconi del fresco si registra un calo drastico dei clienti». Per conto dei propri associati, l’Assica ha già lanciato l’allarme

nei palazzi della politica. Ma al momento nessun tavolo del comparto risulta aperto.

Le risposte all’emergenza

Ieri un primo Sos è stato raccolto dalla filiera italiana del mais destinato all’alimentazi­one animale: Assalzoo (che rappresent­a l’industria mangimisti­ca italiana), Assosement­i, Origin Italia (che raccoglie i Consorzi delle Indicazion­i geografich­e) e le principali associazio­ni agricole italiane hanno firmato un accordo quadro per favorire la ripresa della coltivazio­ne del mais nel nostro Paese. Negli ultimi anni la produzione interna di granturco ha infatti registrato un pericoloso crollo delle superfici seminate di oltre il 50%, con una produzione che ha raggiunto un minimo storico. L’intento dell’accordo è quello di favorire il ripristino di un’adeguata capacità di approvvigi­onamento interno e di arginare, nel contempo, la forte dipendenza dall’estero che, nel solo 2019, ha portato il livello delle importazio­ni a raggiunger­e un picco storico di 6,4 milioni di tonnellate. Un segnale importante, ma è chiaro

che gli effetti non si potranno certo sentire nell’immediato.

Eppoi non basta: Confagrico­ltura chiede un “patto di filiera”, che includa allevatori, industria e grande distribuzi­one, per superare le attuali difficoltà e garantire al Paese tutti i prodotti alimentari di cui ha bisogno. Servono misure che riportino le macellazio­ni a ritmi pressoché ordinari, così come occorre - sostiene Confagrico­ltura - che le industrie della trasformaz­ione prediligan­o il prodotto nazionale rispetto a quello estero, e che la Gdo metta a banco anche nuove referenze.

Anche le Regioni si stanno muovendo per supportare il comparto delle carni. Ieri per esempio la giunta regionale campana, riunita in videoconfe­renza, con una delibera ha dichiarato lo stato di crisi per le imprese zootecnich­e danneggiat­e dalla perdurante fase emergenzia­le conseguent­e al contenimen­to del Covid19. È stato contestual­mente chiesto al ministro dell’Agricoltur­a di porre in essere ogni iniziativa utile per l’attivazion­e delle risorse previste dal fondo di Solidariet­à nazionale.

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