Imprese romane, il 64% ha perso oltre il 30% dei ricavi
In fumo 2,3 miliardi di Pil Con il blocco resta fermo un lavoratore su quattro Colpiti alberghi, ristoranti e costruzioni. Resistono farmaceutica e alimentare
Dal punto di vista sanitario il coronavirus non ha avuto su Roma e sul Lazio lo stesso impatto che ha avuto sulla Lombardia. Tuttavia gli effetti sull’economia rischiano di lasciare cicatrici profonde anche nella Capitale. Filippo Tortoriello, presidente di Unindustria Lazio, ha stimato, a causa delle restrizioni previste sulle attività produttive, perdite giornaliere fino a «più di 300 milioni» di Pil nella regione. E considerato che la ricchezza romana è tre quarti del totale del Lazio, si può stimare per la provincia di Roma una perdita in termini di Pil vicina ai 2,3 miliardi da quando è iniziato, dieci giorni, fa il blocco delle attività produttive.
La Camera di commercio di Roma ha stimato che dal 10 marzo ad oggi sono salite dal 32% a 64% le aziende che hanno registrato una perdita del fatturato superiore al 30%. C’è poi l’impatto sull’occupazione: la Fondazione studi Consulenti del lavoro ha calcolato in 457mila gli addetti in provincia di Roma che non lavorano a seguito del blocco delle attività, vale a dire più di un quarto del totale. Ora l’incognita è capire quanti di questi lavoratori riusciranno a tornare alle proprie postazioni una volta finito il blocco. Sempre la Camera di commercio di Roma ha calcolato che il 42% delle aziende prevede di ridurre l’occupazione, e tra quelle che non lo faranno, il 26% ricorrerà agli ammortizzatori sociali. «Inizialmente spiega il presidente dell’ente camerale romano, Lorenzo Tagliavanti – il calo del fatturato era concentrato su turismo e ristorazione. Ma con il tempo sono aumentate le attività non più in condizione di operare».
«Gli alberghi ormai al 95% non ricevono più clienti – spiega Stefano Fiori, presidente della sezione Turismo di Unindustria – l’unica eccezione sono i grandi alberghi di lusso, che ospitano clienti che adesso, con le restrizioni, non sanno dove andare. Ormai si lavora soprattutto per riprogrammare le prenotazioni». Nel commercio «Sta lavorando la filiera dell’alimentare e i fornitori di prodotti sanitari- spiega Pietro Farina, direttore di Confcommercio Roma, che aggiunge – I ristoranti lavorano solo con le consegne a domicilio, che sono aumentate del 40%. Le altre attività commerciali sono tutte ferme». Ma anche nell’alimentare non sono tutte rose e fiori. Spiega Federico Sannella, presidente della sezione Alimentare di Unindustria: «I fornitori della grande distribuzione lavorano, con le vendite che i primi giorni del blocco sono aumentate anche del 22% a Roma. Ma il 60-65% delle aziende è costituito da piccoli produttori, che non hanno più lo sbocco di bar e ristoranti e ora stanno soffrendo». Uno scenario confermato dal presidente della sezione Trasporti di Unindustria Roberto Mastrofini: «La distribuzione verso bar e ristoranti è ferma. Nella logistica, i depositi a grande intensità di manodopera stanno ricorrendo alla cassa integrazione». Discorso a sé merita la farmaceutica: «Stiamo proseguendo le attività nonostante le difficoltà - spiega Johannes Khevenhüller, presidente sezione Farmaceutica e Biomedicali Unindustria – per alcuni prodotti, come anestetici e antibiotici, la domanda è improvvisamente raddoppiata o triplicata. La logistica è andata sotto stress e ci sono venute a mancare le materie prime».
Un altro settore che sta soffrendo è quello dell’edilizia: «Su 100 cantieri, l’82% ha chiuso, il 14% va avanti con grande difficoltà. Solo un 4% opera senza grossi problemi», spiega Nicolò Rebecchini, presidente dell’Acer (costruttori romani). «Quest’ultima percentuale – aggiunge – è rappresentata dai lavori di sicurezza e urgenza a servizio di aziende di settori essenziali come luce e gas. I cantieri privati stavano già chiudendo prima del blocco a causa della difficoltà nel reperire le materie prime. Poi bisogna necessariamente garantire la salute dei lavoratori».
Gli altri comparti vanno avanti tra luci e ombre. «Nell’aerospazio e nella difesa lavorano tutte le aziende. Nell’informatica un 60% è fermo, l’altra opera ricorrendo allo smart working. Nell’impiantistica e nella manutenzione un 50-60% è fermo», spiega Fabrizio Potetti, segretario della Fiom del Lazio. «Le grandi aziende delle telecomunicazioni stanno andando avanti, ricorrendo, con punte dell’80-90%, allo smart working. Nei call center c’è stato un calo delle attività anche del 40%, con ricorso alla cassa integrazione, ma finora non ci sono state chiusure», afferma Alessandro Faraoni, segretario Fistel Cisl Roma e Lazio.