Confindustria: il Pil calerà del 6%, investimenti in caduta a -10,6%
Boccia: ora bene i prestiti a 30 anni, le imprese rispettino i pagamenti
Un grafico a “V” sintetizza come si muoverà, secondo il Centro studi Confindustria, il Pil nel 2020: prima una« enorme caduta» fino a toccare -10% nella prima metà dell’anno e poi un «parziale recupero» che dovrebbe portare a chiudere l’anno con un pesante -6%. Il rimbalzo dovrebbe consolidarsi l’anno prossimo con una crescita del 3,5%. Per il presidente degli industriali, Vincenzo Boccia, il rapporto di primavera del Centro studi cade mentre sono incorso« due guerre: una al virus e una alla recessione: dobbiamo evitare che si trasformi in depressione, cioè una recessione strutturale ». Servono scelte immediate, secondo Boccia, e la più urgente riguardala liquidità rafforzando il Fondo di garanzia, «costruendo un percorso che aiuti il Paese a rimettersi in carreggita». E in un appello agli associati ha chiesto il rispetto degli impegni di pagamento verso clienti e fornitori. Picchio
«Colpita al cuore». È l’economia italiana, raggiunta da uno shock di offerta e di domanda. Per il 2020 il Pil avrà un calo del 6%, ipotizzando che la fase acuta dell'emergenza sanitaria termini afinemaggio,conlariaperturadel90% delle attività industriali. Se si guarda al primo semestre la perdita sarà -10% (-4 del primo trimestre e -6 del secondo).
È lo scenario del Rapporto del Centro studi Confindustria, presentato ieri con una diretta on line sul sito del Sole 24 Ore e della confederazione. «È la crisi più dura dal Dopoguerra», ha esordito il direttore del CsC, Stefano Manzocchi. Che ha sottolineato altri aspetti: il -20% della produzione industriale nei primi sei mesi rispetto ai livelli di fine 2019; -10,6% gli investimenti; -5% l’export, meno della domanda mondiale, perdendo quote di mercato.
Nel 2021 torneranno i segni positivi: +3,5% il Pil, +3,5 i consumi delle famiglie, +5,1 gli investimenti, +3,6 l’export. Ma la ripartenza sarà lenta, anche per il crollo della fiducia. Serve un’azione di politica economica immediata, sollecita il CsC, che in questa prima fase preservi il tessuto produttivo del paese, «impedendo che la recessione profonda si trasformi in depressione prolungata, con un aumento drammatico della disoccupazione e del benessere sociale». E si affronti il problema prioritario della liquidità alle imprese. «Occorre tutelare il tessuto produttivo e sociale della Nazione con strategie e strumenti inediti e senza lesinare risorse».
Imprese a rischio, Italia a rischio, dice il testo. Che si apre con la premessa che la salute è un bene primario e rivolge il pensiero «ai malati e alle loro famiglie ed agli eroi che ogni giorno lavorano con rischi enormi». Occorre pensare anche alla ripresa economica, per la tenuta sociale. Le imprese e i lavoratori «sono il vero patrimonio dell'Italia». Sono ben 8,5 milioni, ha ricordato Manzocchi, gli occupati diretti e indiretti dell'industria, un terzo del totale. Dalle imprese deriva circa la metà degli investimenti in R&S. È urgente evitare che «il blocco dell’offerta e il crollo della domanda provochino una drammatica crisi di liquidità delle imprese che può mettere a repentaglio la sopravvivenza di intere filiere produttive». Bisognerà «mobilitare risorse rilevanti» per un piano di ripresa economica e sociale. Interventi «massivi su scala nazionale ed europea». Le istituzioni Ue sono «all’ultima chiamata per dimostrare di essere all’altezza». Bene il decreto Cura Italia, ma è un primo passo, ha ricordato il CsC, calcolando che ogni settimana di chiusura delle attività produttive pesa in negativo circa lo 0,75% sul Pil. Se le misure in cantiere annunciate per aprile fossero analoghe a quelle del primo intervento e finanziate con risorse europee si potrebbe avere un minor calo del Pil per 0,5 punti senza impatti sul deficit. Guardando i conti pubblici nel 2020 si registrerà un indebitamento al 5% del Pil e il debito sarà al 147%; nel 2021 il deficit migliorerà, al 3,2% (con la disattivazione delle clausole Iva), mentre il debito si assesterà al 144,3. Quanto all’occupazione, il lavoro potrebbe calare dell’1,5% a condizione che al ripartenza avvenga nel terzo trimestre. Secondo i calcoli del CsC i settori indicati come essenziali nell’intera economia dopo lo stop generano il 62,2% della produzione nazionale, danno lavoro a circa il 72,1% degli occupati (18,1 milioni) e coinvolgono il 43,8% delle imprese (1,9 milioni). Se si guarda l’industria in senso stretto lavorano il 39,4% degli addetti, 1,7 milioni.
Se si attivasse un piano di investimenti europeo da 500 miliardi in tre anni, con misure su liquidità, sanità, infrastrutture e digitale, l’Italia potrebbe crescere di 2,5 punti di Pil (1,9 nell’eurozona).
Sugli strumenti europei si è soffermata Cinzia Alcidi, del Centro studi di politica europea, facendo 4 esempi di ipotesi di cui si discute: coronabond; trasferimenti dal bilancio Ue, helicopter money; uso del Mes. «Deve essere una soluzione rapida – ha sottolineato la Alcidi – con prestiti pensati a 30 anni a tassi bassi».
L’appello: la tenuta del sistema economico e delle filiere dipende anche da noi, dai nostri comportamenti