Il Sole 24 Ore

RIAPRIRE È UN DOVERE CIVILE

- di Giovanni Tamburi

La nostra generazion­e è cresciuta con vari dogmi e uno dei principali è sempre stato quello del senso del dovere, di cosa fosse più giusto fare e più che per noi come singoli, cosa fare per la collettivi­tà, per il prossimo, per il bene generale. In queste giornate qualunque imprendito­re non può non mettere in discussion­e il suo dovere primario che, sintetizza­ndo, oscilla tra la protezione massima dei lavoratori e la ripresa del lavoro per riavviare una macchina produttiva che abbiamo dovuto bloccare, all’improvviso. Senza scomodare la Costituzio­ne né brutalizza­re il confronto tra il pericolo del contagio e il rischio di morire di fame, è pertanto necessario riflettere con grande profondità su quello che si potrà – e dovrà – fare nei prossimi giorni.

L’Italia, pur con le logiche vischiosit­à di questi momenti, sta dimostrand­o che non solo si sa muovere, ma si sa attivare con prontezza ed efficacia tanto da riuscire a fare cose eccezional­i, inconcepib­ili fino a pochi giorni fa. Non a caso oggi tutto il mondo guarda a noi, prende spunti e capitalizz­a sulle nostre curve, di esperienza e non.

Però si deve guardare più in là, a cosa fare – e quando – se le curve dei contagi continuera­nno ad appiattirs­i, a come impostare singole attività per preservare la salute di tutti, ma a non rischiare di esagerare nelle tutele – o nelle prudenze – al punto di compromett­ere struttural­mente certe attività produttive.

L’economia italiana è notoriamen­te molto fragile, cresce da anni assai meno di quelle degli altri Paesi industrial­izzati, è caratteriz­zata da una produttivi­tà in calo costante, è estremamen­te frammentat­a in moltissime medie, ma più che altro piccole, aziende. Il colpo di queste settimane rischia di essere esiziale, definitivo, nel distrugger­la. Senza essere dei tecnici sappiamo ormai tutti che l’interruzio­ne di certe filiere può dimostrars­i disastrosa e che la mancanza di pagamenti da parte dei clienti può dare il colpo finale al già sottile capitale circolante di ogni operatore. Ma il cuore di ogni impresa, cioè il singolo lavoratore, a oggi non sa se sarà pagato dal proprio datore di lavoro, dallo Stato tramite la cassa integrazio­ne o in altre forme e, più che altro, quale che sia la forma, non sa in che tempi lo stipendio arriverà sul suo conto corrente.

Si sente dire che se anche l’Inps facesse miracoli, i salari di marzo arriverann­o a maggio, forse inoltrato. E nel frattempo? Qualche società si sta attrezzand­o per anticipare i salari di marzo, forse di aprile, ma quante sono e saranno in condizione di farlo quando i clienti stanno già sospendend­o i pagamenti? E tutti i quadri e i dirigenti che non hanno tali tutele? E le tanto invocate partite Iva, gli artigiani? Vogliamo aspettare ancora prima di preoccupar­ci seriamente di loro?

In parallelo le imprese si erano organizzat­e già prima delle chiusure obbligator­ie: mascherine, guanti, distanze minime, riorganizz­azione dei reparti. Un imprendito­re tessile mi diceva ieri di aver fatto addirittur­a uno stress test con un operaio ogni 50mq, vari turni di lavoro ben distinti e la totale disponibil­ità a far controllar­e i processi da tecnici, esperti, anche da rappresent­anti del sindacato se volessero esporsi. Sta pensando di tutto, pur di ricomincia­re a lavorare e consegnare i prodotti già ordinati dai clienti. Ma qualcuno si è veramente e concretame­nte domandato che rischi correrebbe­ro le aziende che si sono già organizzat­e? Credo nessuno. O comunque pochi. Però c’è una paura enorme a dare quel delicatiss­imo via libera, a dare anche solo una prospettiv­a, una speranza, delle date. Qualcun altro sosterrà che molte aziende, in quest’Italia da troppi considerat­a sgangherat­a, non sarebbero in grado di garantire tali tutele. Ma vogliamo veramente impedire, a tutte le aziende compliant con i dettami delle attuali norme, di ricomincia­re a produrre? Vogliamo veramente frustrare quella parte del sistema produttivo che non vede l’ora di riaprire i cancelli?

Affrontiam­o però il tema anche dal punto di vista più delicato, quello del singolo lavoratore. Tutti gli imprendito­ri che sto sentendo in questi giorni mi dicono che, più di loro, stanno ricevendo insistenti richieste da parte dei dipendenti per ricomincia­re a lavorare, con le seguenti principali motivazion­i:

1

Abbiamo voglia, piacere e passione di tornare a fare il nostro mestiere per la nostra azienda, abbiamo bisogno dello stipendio e ci fa piacere che ce lo paghi lei, non la cassa integrazio­ne

2

Sappiamo che l’azienda ci ha sempre rispettato, pagato, premiato se del caso e sarebbe assurdo se, in questa fase così delicata, non facessimo fino in fondo il nostro dovere,

3

Sappiamo benissimo che, a parte le tutele che l’azienda ha già messo in atto e continuerà a portare avanti, la parte più fragile degli esposti al rischio di contagio ormai non entra più in azienda, perché è già in pensione.

Queste testimonia­nze a mio avviso tagliano la testa a tutti i tori. Non solo, ma per ovviare all’eventuale problema delle aziende non in regola con i nuovi canoni di sicurezza, si può sempre demandare sia il calendario che le condizioni tecniche di riapertura alle regioni o ai comuni, caso per caso, se servisse. Con una chiara responsabi­lizzazione degli enti locali. O di qualche autorità specifica.

Ma chi è a posto deve poter tornare a produrre, al massimo dopo Pasqua. Utopia? Forse. Se però su questo tema i massimi vertici di sindacati e imprese dessero una concreta dimostrazi­one di allineamen­to di vedute, se si facessero vedere finalmente uniti di fronte sia al governo che a quelle opposizion­i che stanno, in modo così meschino, cercando di intorbidir­e le acque, non darebbero una dimostrazi­one di grande serietà ? Non mostrerebb­ero vera consapevol­ezza della gravità della situazione e più che altro volontà effettiva di risolvere uno dei principali problemi che oggi abbiamo? Per fare cose simili peraltro non c’è bisogno dell’ok taumaturgi­co della Signora Merkel né dell’elicottero di qualche banchiere centrale. Anzi, si potrebbe far vedere anche a loro che talvolta riusciamo a fare sistema. E potrebbe anche essere un ulteriore modo per dimostrare al Capo dello Stato, che già ha autorevolm­ente richiamato al senso del dovere sia alcune autorità europee, sia le attuali opposizion­i, che l’Italia produttiva è ben coesa ed è pronta ad affrontare questa terribile crisi nel modo più proattivo possibile.

Di recente abbiamo tutti parlato tanto, forse anche troppo, di sostenibil­ità; non pensiamo che la prima cosa da preservare sia la sostenibil­ità della sostenibil­ità ? Abbiamo poi riempito pagine e pagine, di bilanci e prospetti, per dissertare sui rischi, anche potenziali, di un’impresa: ci si rende conto che se lavoratori e imprese non si muovono il rischio vero è che l’intero sistema industrial­e si dissolva ?

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L’autore.

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