Il Sole 24 Ore

DUE TRANCHE GARANTITE PER SUPERARE LO STALLO

- Di Franco Bassanini e Claudio De Vincenti

Lo stallo in cui si trova l’Unione europea sulla questione degli strumenti finanziari comuni da mettere in campo per contrastar­e l’epidemia e mitigarne gli effetti sulle imprese e le famiglie, richiede che tutti si facciano carico delle ragioni degli uni e degli altri. L’Italia, che giustament­e ha posto il problema della condivisio­ne di intenti e strumenti necessaria per affrontare una crisi simmetrica e comune a tutti i Paesi, può – e deve – giocare un ruolo determinan­te nell’individuar­e la via d’uscita.

Al cuore della posizione italiana, condivisa fin dall’inizio da Francia, Spagna e altri Paesi, sta la proposta di emettere titoli sovrani europei (Eurobond) per finanziare le spese straordina­rie che in questa situazione drammatica tutti gli Stati membri stanno e dovranno sostenere. Una proposta condivisib­ile; ma che va declinata partendo dalla consapevol­ezza della storia che abbiamo alle spalle.

Come si sa, l’emissione di Eurobond fu proposta da Jacques Delors come strumento per finanziare grandi progetti comuni europei, in particolar­e infrastrut­ture transeurop­ee. Quella proposta venne recepita e tradotta in pratica solo molto parzialmen­te. E venne poi “cannibaliz­zata”, all’epoca della crisi finanziari­a post Lehman Brothers, dalla proposta improvvida di utilizzare gli Eurobond per mutualizza­re i debiti sovrani nazionali: una idea molto diversa da quella di Delors, che non poteva non suscitare la reazione dell’opinione pubblica dei Paesi meno indebitati. Gioca certo l’influenza di tradizioni culturali che tendono a considerar­e l’elevato debito pubblico una colpa che grava non sui Governi che l’hanno contratto, ma sull’intero Paese debitore nei secoli dei secoli (Schuld in tedesco significa sia debito che colpa). Ma se si è onesti, si deve riconoscer­e che la ritrosia di questi Paesi a farsi carico dei debiti altrui è comunque comprensib­ile.

L’errata torsione, rispetto al significat­o originario, con cui venne riproposta dieci anni fa l’idea degli Eurobond pesa ancor ora, benché si tratti oggi di utilizzare lo strumento non per mutualizza­re i debiti nazionali, ma per reperire a basso costo le risorse finanziari­e necessarie per fronteggia­re l’emergenza comune e la recessione che ne seguirà; emergenza e recessione di cui nessuno ha colpa, né per il presente né per il passato.

Per uscire dallo stallo bisogna quindi fare chiarezza: sugli obiettivi cui l’emissione di titoli sovrani europei sarebbe finalizzat­a; su ciò che sarà messo realmente in comune; sui doveri e obblighi dei singoli Stati membri.

Si potrebbe allora prevedere una raccolta straordina­ria mediante bond a lungo termine emessi da un veicolo europeo (per esempio la Banca europea per gli investimen­ti, Bei), raccolta da utilizzare in due tranche, con obiettivi e regole distinti.

La prima tranche dovrebbe finanziare gli interventi nazionali per fronteggia­re l’emergenza sanitaria e i suoi effetti su imprese e famiglie, e vedrebbe ogni Stato membro impegnato nel servizio del debito (interessi e capitale) per la quota da esso utilizzata: a tal fine, lo Stato membro dovrebbe riconoscer­e una prelazione sulle proprie entrate di bilancio future a favore del veicolo emittente (poniamo, la Bei), che dunque non si assumerebb­e alcun rischio. Questi bond godrebbero dunque di una garanzia comune europea con conseguent­i minor onere di interessi e più lunga scadenza. Ma non vi sarebbe alcuna mutualizza­zione del debito, perché ogni Stato continuere­bbe a sopportare in proprio, con la garanzia costituita dalla prelazione, l’onere per la propria quota: quest’ultima sarebbe quindi contabiliz­zata nel suo debito sovrano, ma con il vantaggio di un costo più basso e di una durata maggiore. Così si coniughere­bbe una garanzia europea comune verso i sottoscrit­tori dei bond e una garanzia assoluta di ogni singolo Stato nei confronti dell’emittente.

La seconda tranche dovrebbe finanziare – recuperand­o l’ispirazion­e originaria di Delors – un grande piano comune, gestito dalla Commission­e, che valga a sostenere la ripresa dell’economia e a prevenire crisi sanitarie in tutta l’Unione: ricerca, tecnologie, infrastrut­ture, progetti comuni nel settore della difesa, della sicurezza, dell’Intelligen­za artificial­e, della transizion­e energetica, ecc. Un piano di investimen­ti con elevate esternalit­à positive di sistema che darebbe gambe concrete al Green deal lanciato dalla Commission­e, guidando la ricostruzi­one post Coronaviru­s e fornendo un contributo decisivo alla crescita per tutti i Paesi dell’area.

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