Ceramica, Italia ferma per decreto Ne approfitta l’export spagnolo
Il governo di Pedro Sanchez ha autorizzato i produttori a movimentare le merci Le regole diverse all’interno dei Paesi Ue penalizzano il distretto emiliano
A causa di norme contraddittorie del Dpcm sull’emergenza coronavirus, le piastrelle prodotte in Italia possono uscire dai depositi della filiera logistica, ma non dai magazzini delle fabbriche. Ad approfittarne è l’export spagnolo.
«Siamo molto preoccupati, perché le decisioni messe in campo dal Governo per arginare la diffusione del contagio stanno minando la competitività del settore e questo non è un danno solo per le nostre imprese che bruciano fatturato e quote di mercato ma per tutto il sistema Paese, perché si perderanno posti di lavoro. E in un momento sociale delicato come quello che stiamo vivendo perdere posti di lavoro perché si sbaglia a scrivere un decreto è un delitto». Non usa mezzi termini Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica, per descrivere la paralisi assurda che i ceramisti italiani – al pari dell’industria dell’acciaio - stanno vivendo e il danno economico, competitivo e occupazionale che ne conseguirà, perché le merci possono uscire dai depositi della filiera logistica ma non dai magazzini delle fabbriche italiane, a causa di norme che si contraddicono all’interno dello stesso Dpcm. «Mentre i nostri principali competitor, quelli spagnoli – spiega il presidente – hanno il via libera ufficiale del ministro dell’Industria María Reyes Maroto Illera a movimentare e quindi a esportare le piastrelle in giacenza. Per cui ai nostri clienti internazionali continuano ad arrivare i prodotti spagnoli ma non il made in Italy, e sia noi che gli spagnoli dipendiamo dall’export per l’80% dei nostri volumi».
L’industria ceramica italiana - 211 imprese, di cui 137 di piastrelle, attive in più di 300 stabilimenti per 25mila dipendenti – è ferma da dieci giorni, a seguito del Dpcm del 22 marzo che ha imposto la chiusura di tutte le attività non essenziali (la ceramica tra queste) con tre giorni di tempo per arrivare allo stop totale, «ma molti punti restano oscuri: il Dpcm in un punto sostiene che apparteniamo alla categoria di imprese che si devono fermare e quindi abbiamo spento i forni e chiuso le fabbriche, lasciando solo i colletti bianchi in smart working. E a questo abbiamo ottemperato tutti. Poi però in un altro punto del decreto – puntualizza Savorani - viene garantita la libera circolazione delle merci, quindi supponiamo che anche le nostre dovrebbero essere libere di circolare. Abbiamo scritto a prefetture e autorità e in questo baillame totale c’è una sola cosa certa: che non esiste un minimo coordinamento a livello europeo e la responsabilità è anche dei nostri dicasteri competenti. Nel frattempo il danno che stiamo subendo è grave, perché si sta generando naturalmente una concorrenza sleale all’interno dell’Ue a causa di norme emergenziali mal scritte e non coordinate tra i diversi Paesi». Al di là dei confini, invece, il governo di Pedro Sanchez ha allentato la presa sui ceramisti spagnoli, molti simili a noi per struttura produttiva, costringendoli sì a spegnere i forni con il regio decreto di domenica scorsa, ma consentendo loro di continuare a movimentare le merci in giacenza e ad esportare, nonché di preservare una minima attività produttiva (attraverso turni di lavoro o un numero minimo di personale in azienda), per evitare che prolungati fermi danneggino gli impianti industriali o compromettano la riaccensione, ma soprattutto consentendo loro di continuare a dare un buon servizio ai clienti. In Spagna operano 138 produttori di piastrelle per 15.500 addetti contro le 137 nostre aziende per 19.700 dipendenti, concentrati in entrambi i casi per oltre i due terzi in distretti chiave, Castellon e Sassuolo nel cuore della via Emilia. Ma gli spagnoli stanno diventando sempre più agguerriti in termini produttivi e commerciali, complici un costo del lavoro più basso e infrastrutture logistiche più efficienti. Nei primi nove mesi dello scorso anno i competitor spagnoli hanno esportato 317 milioni di mq di piastrelle, noi solo 247 milioni. «Fino a metà marzo gli ordinativi erano superiori all’anno precedente – conclude Savorani – e ci eravamo rinvigoriti dopo il difficile 2019. Adesso non so che succederà, il blocco delle spedizioni è una beffa oltre al danno. Le nostre fabbriche, tutte ad alta tecnologia e bassa componente manuale, sarebbero pronte a riaprire domani nel pieno rispetto delle misure per la sicurezza e salute dei lavoratori. Chi può lavorare dovrebbe lavorare, perché da questo dipende anche la tenuta degli ammortizzatori sociali. Lo dice il primo articolo della nostra Costituzione: l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».