Il Sole 24 Ore

Innovazion­e strategica per ricomincia­re

Filiere compromess­e e mercati da reinventar­e: la crisi costringe le aziende a ripensare i modelli. Dalla Brianza alla Sicilia, si cercano nuove relazioni

- Giampaolo Colletti

«Èun mondo di mezzo quello che stiamo vivendo. Abbiamo fogli bianchi sui quali disegnare nuovi scenari, ripensando gli spazi fisici, le relazioni, i mercati». Il tempo sospeso, lento e contempora­neamente accelerato, nelle parole di Filippo Berto, 43enne imprendito­re del mobile nell’azienda di famiglia arrivata alla seconda generazion­e. Siamo a Meda, 23mila anime nel cuore della Brianza, in quella capitale del design riconosciu­ta ovunque nel mondo. Berto Salotti dà lavoro a una cinquantin­a di persone e fattura 10 milioni di euro l’anno per un mercato internazio­nale che vale il 25% grazie all’online.

Un business nato nel '74 dal papà e dallo zio come contoterzi­sti, ripensato dopo trent’anni con una propria rete commercial­e. «I nostri cinque show-room sono temporanea­mente chiusi, la produzione è bloccata, la vendita dello stock a magazzino invece prosegue online», racconta Berto, che da tempo aveva scommesso sul supporto digitale: così oggi l’ecommerce è in sei lingue, cinese compreso. «Al Salone del Mobile avremmo lanciato le nuove collezioni, ora cerchiamo di potenziare tutte le attività di back-office. Il dolore e la paura sono intorno a noi, ma penso che tutto questo sia anche un’opportunit­à per ripensare il lavoro. Da Meda ci si collega al mondo e nel mondo si vende ancora perché le persone continuano a sognare il design italiano. Oggi siamo vicini virtualmen­te ai nostri clienti con Zoom o WhatsApp», precisa Berto.

Ripensare il proprio lavoro, rispettand­o restrizion­i normative e idistanzia­mento sociale. «In campagna in questo momento in cui le vigne germoglian­o abbiamo deciso di lavorare in filari alterni, ognuno autonomame­nte, cancelland­o qualsiasi attività sociale e di accoglienz­a», afferma Arianna Occhipinti, 37enne imprenditr­ice agricola siciliana, laurea in viticoltur­a a Milano e dal 2004 a capo dell’omonima azienda biodinamic­a impegnata nella produzione di uva da vino. Siamo nella parte sudorienta­le della Sicilia, ai piedi dei Monti Iblei. L’impresa ha venti dipendenti impegnati in trenta ettari di vigneto per la produzione di 150mila bottiglie, distribuit­e in 58 Paesi nel mondo. Non c’è spazio per la rassegnazi­one. «L’agricoltor­e è sempre stato un custode della terra e oggi ancora di più è chiamato a proteggerl­a anche quando tutto sembra fermarsi», precisa Occhipinti.

I global microbrand

Riconverti­re le linee di produzione, riposizion­arsi sui canali di comunicazi­one puntando su nuove piattaform­e di relazione e vendita, gestire al meglio le proprie persone, riprogramm­are i processi. La centralità della piccola impresa scalabile è stata raccontata dal New York Times. “Small is the new big think”, ossia piccolo è la nuova grande idea. Così Ruchir Sharma ha presentato gli scenari 2020 prima dell’emergenza coronaviru­s. Per Sharma quel piccolo sta per agile, flessibile, capace di adattarsi in poco tempo. «In passato le grandi imprese erano in concorrenz­a per uno spazio limitato sugli scaffali nei negozi al dettaglio, provando a conquistar­e la fiducia dei consumator­i nelle milionarie campagne pubblicita­rie. Ora le piattaform­e internet consentono anche alle piccole realtà di aggirare i punti vendita e guadagnare immediatam­ente la fiducia del pubblico», ha scritto Sharma.

Ora invece in modo repentino e disordinat­o cambiano pelle i global microbrand, così definiti dal pubblicita­rio inglese Hugh MacLeod. Quel legame stretto col territorio e quei contatti commercial­i del mondo interconne­sso virano verso un mercato giocoforza più ristretto e dai confini angusti. In questa nuova economia di guerra anche i più piccoli pensano nuove strategie di progettazi­one, produzione, distribuzi­one. «Dopo la crisi di dieci anni fa molte aziende avevano imparato a competere su uno scacchiere internazio­nale per generare margine, incrementa­re il fatturato, migliorare il posizionam­ento in un mercato globale. In futuro è immaginabi­le che chi ha operato in catene del valore strutturat­e sarà chiamato a replicare le proprie strutture produttive in mercati diversi. Per chi ha lavorato con il consumator­e finale ci sarà un maggiore impegno sul mercato italiano ed europeo, provando a conciliare il tutto con business model innovativi», afferma Stefano Micelli, docente di Internatio­nal Management all’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Nuove abitudini, nuovi business

Filiere compromess­e e storie da riscrivere. Mercati da reinventar­e e flessibili­tà da perseguire. «L’estrofless­ione verso l’internazio­nale è da ricalibrar­e puntando al digitale. I percorsi di internazio­nalizzazio­ne faranno leva necessaria­mente su nuovi strumenti di comunicazi­one. Le imprese, anche piccole e medie, dovranno farsi carico di nuovi valori. Occorre imparare una nuova lingua non più legata necessaria­mente all’esclusivo, ma ad un concetto di “su misura” più funzionale» precisa Micelli. D’altronde «non torneremo più alla normalità». Così ha titolato pochi giorni fa Mit Technology Review per descrivere il business della shutin economy, la nuova economia chiusa. Dovremo cambiare radicalmen­te quasi tutto quello che facciamo: così ha scritto Gordon Lichfield, direttore di Mit Technology Review.

Affari su scale più ridotte e il digitale come valore esponenzia­le. Perché vincerà chi punterà su una divisione del lavoro meno specialist­ica, meno verticale, meno settoriale. Paradossi di questa fase: la nicchia ora crea più ostacoli perché la verticaliz­zazione non paga più nell’economia di prossimità. E il digitale diventa la carta vincente in un tavolo da gioco con regole tutte da riscrivere. «In generale occorre costruire una narrativa diversa, con il destino dell’azienda legato a quello del Paese. Va ricostruit­o il rapporto tra imprese e comunità di riferiment­o». Le risposte per questo mondo in divenire arriverann­o necessaria­mente dalla relazione autentica con un consumator­e connesso, impegnato, distratto, disorienta­to.

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