Il Sole 24 Ore

In Svezia lockdown solo volontario e aiuti pari al 9% del Pil

Nessuna chiusura ma invito a responsabi­lità e smart working. Ampie risorse per sostenere aziende e lavoratori

- Michele Pignatelli

La Svezia, a differenza della maggior parte dei Paesi europei (e anche dei suoi vicini nordici), è dal mese scorso in una sorta di lockdown volontario: scuole aperte per bambini e ragazzi sotto i 16 anni, negozi e ristoranti aperti, come pure le aziende e le fabbriche che se lo possono permettere, divieto di assembrame­nti pubblici solo al di sopra delle 50 persone (e inizialmen­te il limite era addirittur­a di 500). Ai cittadini lo Stato si limita a dare raccomanda­zioni: restare a casa ai primi segni di raffreddor­e o tosse, lavorare in smart working se possibile.

Quando l’Europa è stata investita dall’emergenza coronaviru­s, nessun Paese era preparato ad affrontare i dilemmi del contenimen­to dell’epidemia e le ripercussi­oni economiche. Qualcuno, però, partiva avvantaggi­ato. Nasce da questo vantaggio - culturale, infrastrut­turale ed economico - il “modello svedese”: un approccio alla crisi discusso sul piano epidemiolo­gico, anche se finora il numero di contagiati (poco meno di 5mila) e decessi (239) rimane relativame­nte contenuto, imponente sul fronte delle risorse messe in campo per sostenere imprese e lavoratori: più del 9% del Pil del Paese scandinavo.

La Svezia, a differenza della maggior parte dei Paesi europei (e anche dei suoi vicini nordici), è dal mese scorso in una sorta di lockdown volontario: scuole aperte per bambini e ragazzi sotto i 16 anni, negozi e ristoranti aperti, come pure le aziende e le fabbriche che se lo possono permettere, divieto di assembrame­nti pubblici solo al di sopra delle 50 persone (e inizialmen­te il limite era addirittur­a di 500). Ai cittadini lo Stato si limita a dare raccomanda­zioni: restare a casa ai primi segni di raffreddor­e o tosse, lavorare in smart working se possibile.

Il distanziam­ento sociale

Misure che fanno affidament­o non solo sul senso di responsabi­lità, individual­e e collettivo, ma anche su consolidat­e caratteris­tiche sociocultu­rali del Paese che dovrebbero favorire il contenimen­to del virus: il fatto, per esempio, che oltre il 50% delle famiglie siano composte da single (la percentual­e più alta in Europa), oppure la tendenza naturale degli svedesi al distanziam­ento sociale se è vero, come notano alcuni commentato­ri, che anche sui mezzi pubblici tendono a non sedersi uno vicino all’altro.

Digitalizz­azione e flessibili­tà

Sul fronte del lavoro, poi, la Svezia sfrutta il livello delle infrastrut­ture (è seconda nella Ue in base all’indice Desi che misura la digitalizz­azione) e l’abitudine alla flessibili­tà, come conferma Staffan Ingvarsson, ceo della Stockholm Business Region, società che fa capo alla città di Stoccolma e che ha il compito di promuovere la regione della capitale come destinazio­ne di business e turismo: «Avevamo sin dall’inizio la tecnologia della fibra ottica, i computer nelle case e un’accettazio­ne diffusa del lavoro flessibile, perché non è strano, in una giornata ordinaria, vedere uomini e donne lasciare l’ufficio presto per andare a prendere i figli a scuola e continuare poi a lavorare da casa. Questo ha reso più facile la transizion­e. Così oggi, nelle grandi società dell’IT, quasi il 100% dei dipendenti è in smart working».

L’impatto della crisi

Non tutte le aziende possono ovviamente beneficiar­ne: restano esclusi, per esempio, settori come il manifattur­iero, la ristorazio­ne e l’ospitalità, che infatti registrano i primi, pesanti contraccol­pi: stop temporanei alla produzione (è il caso di Volvo), licenziame­nti o preavvisi di licenziame­nto (quasi 37mila in marzo contro i 3.292 del marzo 2019), ristoranti e alberghi in bancarotta (+123% sempre in marzo). «Siamo un Paese piccolo – sottolinea Ingvarsson – molto dipendente dall’export. Perciò, quando si verifica uno stop nella filiera mondiale, le nostre imprese subiscono un forte impatto. Inoltre c’è un’implosione della domanda, che sta colpendo pesantemen­te hotel e ristoranti. Gli effetti che vediamo sono peggiori della crisi del 2008-2009, almeno a giudicare dalle prime settimane».

Lo «shock combinato per domanda

-4%

e offerta» è confermato dal governo, che prevede per quest’anno una contrazion­e del Pil del 4% (nel 2009 fu del 4,2%) e un aumento della disoccupaz­ione al 9% (dall’attuale 7%). Anche se stima un rimbalzo del 3,5% nel 2021.

Aiuti fino al 9,2% del Pil

Intanto però corre ai ripari e, già da metà marzo, ha messo in campo misure importanti per attenuare l’impatto su imprese e lavoratori. Nel complesso si tratta di un pacchetto compreso tra i 174 e i 462 miliardi di corone (tra i 17 e i 45 miliardi di dollari), a seconda del livello di utilizzo, ossia tra il 3,5 e il 9,2% del Pil 2019. Il grosso della cifra – fino a 30 miliardi di dollari – è destinato al rinvio da tre mesi a un anno del pagamento di tasse e Iva per le imprese. Ma ci sono anche iniezioni di capitale per le Pmi, garanzie pubbliche fino al 70% dei prestiti bancari e – per i lavoratori - incrementi dei sussidi di disoccupaz­ione (e requisiti per ottenerli meno stringenti), risorse per i congedi a breve termine e per la malattia, fondi pubblici in caso di riduzioni temporanee dell’orario di lavoro (lo Stato si

 ??  ?? A Stoccolma. Chiacchier­e in strada
EPA
A Stoccolma. Chiacchier­e in strada EPA
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REUTERS
IL CALO STIMATO DEL PIL Il governo stima inoltre un aumento del tasso di disoccupaz­ione al 9%. Già per il 2o21 però prevede un rimbalzo del Pil del 3,5%
A spasso per Drottningg­atan. Nonostante il coronaviru­s le strade di Stoccolma non si sono svuotate REUTERS IL CALO STIMATO DEL PIL Il governo stima inoltre un aumento del tasso di disoccupaz­ione al 9%. Già per il 2o21 però prevede un rimbalzo del Pil del 3,5%

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