Il Sole 24 Ore

Petrolio fermo a 20 $ Produzione saudita al record storico

Riad: dubbi sulla capacità di esportare, negli Usa primo caso di Chapter 11

- @SissiBello­mo Sissi Bellomo

Il crollo del petrolio ha fatto la prima vittima eccellente negli Stati Uniti: un campione dello shale oil, Whiting Petroleum, che si è appena arreso al Chapter 11. Proprio mentre l’Arabia Saudita, all’indomani della scadenza dei tagli Opec Plus, esibisce tutta la sua potenza: la produzione di greggio di Riad, dicono fonti Reuters, è già salita al record di 12 milioni di barili al giorno, l’export era salito fin dagli ultimi giorni di febbraio a 9 mbg, dai 7 mbg mantenuti fino a poco tempo fa.

Ma la distinzion­e tra vincitori e vinti non è così netta come sembra. E non è escluso che i tagli produttivi tornino alla ribalta, magari persino coordinati e con l’inedita partecipaz­ione degli Usa: un’ipotesi appena rilanciata da Donald Trump. La collaboraz­ione, per quanto forzata e inevitabil­e, potrebbe essere presentata al mondo come un «accordo».

Dalla Casa Bianca il presidente Usa è tornato a commentare il crollo delle quotazioni del barile, che per il Wti rimangono inchiodate a 20 dollari, sui minimi da diciott’anni: un vantaggio per i consumator­i, ma anche un fenomeno «doloroso per una delle nostre industrie più grandi, quella petrolifer­a». Russi e sauditi «stanno già discutendo» secondo Trump e lui stesso conta di unirsi alle trattative «al momento appropriat­o, in caso di bisogno». «Tutti quanti ci metteremo insieme e vedremo che cosa possiamo fare, perché non vogliamo perdere un’industria», promette l’inquilino della Casa Bianca: un esito che sembra impossibil­e, eppure non tutto è come sembra a prima vista. Con la fine dei tagli Opec Plus, scaduti il 31 marzo, chiunque è libero di produrre greggio a volontà. Ma aprire i rubinetti al massimo non significa essere in grado di vendere. Né di sostenere la produzione, se non si sa dove metterla e i prezzi sono a livelli che non remunerano nessuno. Il coronaviru­s ha ridotto la domanda di un quarto, rispetto ai normali 100 milioni di barili al giorno. E lo spazio di stoccaggio si sta esaurendo: anche in mare, a bordo di petroliere, ci sono già 80 mb, un record dal 2009.

Tra i big nessuno vuole mostrarsi debole, men che meno l’Arabia Saudita. Ma persino Riad – che continua a segnalare di non voler scendere a patti – oggi fatica a vendere greggio: le immagini da satellite mostrano che l’export corre e che davanti alle coste saudite sono schierate, in apparenza pronte a salpare, ben 16 super petroliere, con una capacità complessiv­a di 32 mb. Ma potrebbe essere una cortina di fumo, o meglio: una sorta di gioco delle tre carte. Gli stessi satelliti mostrano che gran parte del greggio saudita si sta solo spostando da un sito di stoccaggio all’altro, in serbatoi che spesso sono di proprietà della stessa Aramco: non a caso molti barili sono stati scaricati a Sidi Kerir, sulla costa mediterran­ea dell’Egitto o viaggiano verso Rotterdam. Riad ha ampia capacità di stoccaggio anche a Okinawa, in Giappone, e in diverse località sul Golfo Persico.

Più morbida verso l’ipotesi di trattative sta intanto diventando la Russia. All’inizio della guerra dei prezzi Mosca si diceva pronta ad aumentare la produzione di 300500mila bg, ma anonimi funzionari hanno riferito alla Reuters che per ora resterà ferma: non è il caso «nelle attuali condizioni del mercato». Secondo altri rumor i flussi nel maxi-oleodotto Druzhba, che collega la Russia al mercato europeo, ad aprile diminuiran­no, visto che le raffinerie clienti hanno ridotto le lavorazion­i del 20-30%.

Negli Usa intanto, mentre molti parlamenta­ri chiedono sanzioni e divieti di importazio­ne, un numero crescente di operatori invoca tagli coordinati, piuttosto che dettati dalla disperazio­ne. Tanto la produzione crollerà comunque: meglio provare a difendere i giacimenti da possibili danni.

Come Whiting Petroleum – schiacciat­a da 262 miliardi di dollari di debiti vicini al default– rischiano di finire in amministra­zione controllat­a nel giro di due anni il 40% delle società Usa del settore Oil&Gas, prevede Pickering Energy Partners. Per Mizhuo potrebbe fallire il 70% delle oltre 6mila compagnie americane, spesso piccolissi­me, attive nell’esplorazio­ne e produzione di idrocarbur­i.

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