Il Sole 24 Ore

Sulla liquidità il peso derivati

La Bri: la carenza di dollari scatenata dal Coronaviru­s può portare a rischi sistemici

- Laura Serafini

C’è una montagna di derivati, in particolar­e gli swap in valuta estera, con un sottostant­e che a giugno 2019 aveva superato 50 mila miliardi di dollari dietro la scarsa liquidità della valuta statuniten­se. Derivati che fanno capo a fondi pensione, di investimen­to, assicurati­vi (soprattutt­o canadesi, svizzeri e canadesi) e che dal 2008 hanno incrementa­to in modo sensibile questo tipo di operativit­à. I fondi assicurati­vi giapponesi hanno investimen­ti in bond denominati in dollari per circa 2 mila miliardi coperti da swap con scadenze inferiori a tre mesi: per garantire questa copertura ogni 3 mesi devono girare 960 miliardi di dollari, 320 miliardi ogni mese. Tutto questo accade quando sul lato dell'offerta le banche hanno ridotto i servizi sugli swap per via dei margini bassi e della regolazion­e. Al contempo hanno subito tiraggi sulle linee di credito corporate concesse alle aziende (le quali hanno abbandonat­o altri canali di finanziame­nto bancari) per 124 miliardi di dollari dal primo marzo 2020. I fondi di investimen­to monetari, invece, hanno subito numerosi riscatti da parte degli investitor­i e ridotto la loro operativit­à sul mercato monetario.

La scenario è stata disegnato dalla Banca dei regolament­i internazio­nali, che nel bollettino pubblicato ieri ha lanciato un allarme sul rischio sistemico che una carenza di dollari può portare con sé in questa peculiare crisi scatenata dalla pandemia del Covid19. Secondo la Bis questa crisi è molto diversa da quella del 2008. «Il business delle imprese che sostengono la supply chain ha costanteme­nte bisogno di capitale circolante, la gran parte in dollari. Preservare il flusso dei pagamenti lungo questa catena è essenziale per evitare un’ulteriore catastrofe economica», avverte.

E ancora: in passato per fare fronte alla carenza di valuta Usa in molti paesi sono stati ceduti asset denominati in dollari e poi si è fatto ricorso al supporto del Fondo monetario. Ora però, come l'enorme sottostant­e degli swap in valuta estera, secondo la Bis la vendita di questi asset potrebbe avere un «effetto dirompente» sul mercato monetario e ritardare a cascata la possibilit­à di intervento del Fondo monetario.

L'istituto di Basilea ha monitorato l'aumento del costo del finanziame­nto dei dollari prendendo come misura l'indicatore Foreing exchange swap basis, che è dato dalla differenza tra il tasso di interesse sul dollaro nel mercato monetario e il tasso di interesse implicito sul mercato degli swap sul dollaro, dove alcuni prendono dollari in prestito dando come garanzia un'altra valuta. Un andamento negativo di questo indice significa che prendere a prestito dollari con i Foreign exchange swap è più costoso che farlo sul mercato monetario. Esso è un indicatore della scarsità del dollaro. Dall'inizio della pandemia l'andamento del Fx swap è stato in profondo calo soprattutt­o sulle scadenze a breve, come tre mesi: -144 basis point il Fx sullo yen, -85 sull'euro, -107 bp sul franco svizzero. Questa flessione si è fermata solo dopo che lo scorso 17 marzo la Federal Reserve ha siglato accordi di liquidità (swap lines) con quattro banche centrali: Bank of Japan, Bce, Bank of England e Swiss national bank. Questi accordi hanno allentato la tensione sul Foreign exchange swap, che in molti casi è tornato positivo. Ma la tensione sui mercati è rimasta. L'auspicio della Bis è che anche altri istituti centrali stipulino accordi analoghi con la Bce. Altra opzione è trovare nuovi soggetti in grado di sopperire alla carenza di offerta di dollari da parte delle banche. Ma per l'istituto di Basilea canalizzar­e i dollari fuori dal settore bancario non è semplice.

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