Il polo tricolore resta suggestione Nel Far East il futuro della Bicocca
L’azienda bergamasca prenota un posto al tavolo, ma per ora non c’è spazio
L’ingresso di Brembo nel capitale di Pirelli col 2,43% ha più che altro un valore segnaletico per un’azienda familiare che è leader nel suo segmento di attività (sistemi frenanti per l’automotive d’alta gamma), che ha dichiarato di voler crescere perchè non le bastano i 2,6 miliardi che già fattura, ma che non ha intenzione di perdere l’indipendenza. Un posizionamento per segnalare l’interesse a sedersi al tavolo, semmai si creassero le condizioni per un’operazione - un polo di qualità nella componentistica con Brembo e Pirelli - che riemerge di tanto in tanto nelle suggestioni delle banche d’affari. Ipotesi che quindi presupporrebbe la volontà dell’attuale azionariato di Pirelli di passare la mano.
Da quando c’è stato il cambio della guardia in ChemChina - con l’avvicendamento al vertice tra Ren Jianxin e Ning Gaoning - è apparso ancora più evidente che in Europa la priorità è l’agrochimica di Syngenta, mentre la partecipazione in Pirelli è di natura finanziaria. L’integrazione della divisione Industrial della Bicocca (gomme per autocarri e mezzi pesanti) con la Aeolos del gruppo cinese è stata congelata per la guerra dei dazi, anche se la proprietà è passata a ChemChina. La gestione è rimasta italiana col presidente Giorgio Bruno e l’ad Gregorio Borgo, in attesa di una nuova collocazione della società. In Pirelli ChemChina ha alla fine allungato lo status quo al 2022 e l’attuale livello delle quotazioni non fa altro che sconsigliare smobilizzi precoci. Tant’è che Marco Polo, il veicolo dell’Opa dove ancora convivono ChemChina e il fondo connazionale Silk Road, ha approfittato dei prezzi da saldo per arrotondare di uno 0,4% la sua quota al 46%, ripromettendosi di aggiungere un ulteriore 1%.
In Pirelli la gestione è rimasta nelle mani di Marco Tronchetti Provera che con Camfin - di cui è azionista al 48%, affiancato da UniCredit, Intesa, Alberto Pirelli e le famiglie Rovatti e Moratti - detiene il 10,1% di Pirelli e in più ha un’opzione per rilevare un ulteriore 4,89% che dovrebbe essere conferita cash a una newco da costituirsi con il magnate cinese Niu, il quale di suo conferirà il 5,19% (garantito da un repo con la banca cinese ICBC) con la governance affidata a Camfin, che quindi - direttamente e indirettamente - avrà voce in capitolo per il 15%. La famiglia Niu è partner di lungo corso di Pirelli, insieme alla quale, già nel 2005, era stata costituita una joint venture per lo sviluppo del primo stabilimento nella provincia di Shandong. A parte il passaporto, la famiglia Niu, che ha attività diversificate anche nel farmaceutico e nelle strutture ospedaliere, non condivide altro con ChemChina. Ma l’impressione è che ci sia sempre tanta Cina nel futuro di Pirelli, che non sembra credere alla bontà di un’aggregrazione domestica, visto che ha lasciato sempre cadere il dossier Brembo. L’obiezione storica, tra gli scettici, sono le scarse sinergie sprigionabili tra le due aziende, mentre in questo momento la maggior esposizione dell’azienda bergamasca sul primo equipaggiamento non gioca a favore: meglio contare sui ricambi, ai quali Pirelli è legata per i tre quarti della sua attività.