La produzione ai livelli del ’78 Marzo -17% rispetto a febbraio
L’Ifo di Monaco di Baviera stima una contrazione dell’8,0-13,1% per l’Italia Csc: con la chiusura del 60% di imprese manifatturiere, atteso un -15% in tre mesi
In quell’anno l’Italia piangeva le stragi delle Brigate rosse. A San Pietro arrivava il primo Papa non italiano. E poi si ballavano i Bee Gees, al cinema era l’ora di John Travolta in Grease, di De Niro nel Cacciatore. Un altro mondo, insomma. Che gli ultimi numeri della produzione industriale vanno a riproporre, riportandoci indietro a quei tempi, al marzo del 1978.
Da allora, pur certamente tra crisi petrolifere e valutarie, alti e bassi dettati da svalutazioni interne e quasi-default dei debiti sovrani, l’output industriale non era mai tornato così indietro. Accade ora, nelle valutazioni del centro studi di Confindustria, che sulla base delle prime indicazioni in arrivo dal sistema produttivo stima per marzo un calo inedito della produzione industriale.
Devastante, come nelle attese, l’effetto del Covid-19 sulla produzione manifatturiera, che nelle stime del Centro studi di Confindustria arretra a marzo del 16,6% rispetto al mese precedente, del 32,2% rispetto allo stesso mese del 2019.
Dati non certo imprevisti, con il mercato dell’auto (-85%) a fare da apripista a quello che da qui in avanti sarà in termini statistici un quadro coerente solo con un evento bellico.
La produzione industriale nel primo trimestre è vista in calo del 5,4%, il dato peggiore da undici anni. Con la quasi certezza che il futuro a breve non potrà che essere peggiore, con un calo possibile di 15 punti tra aprile e giugno.
Le prospettive - spiega la nota di Confindustria - sono infatti in forte peggioramento. Per il secondo trimestre, anche in conseguenza della chiusura di circa il 60% delle imprese manifatturiere, la caduta dell’attività potrebbe raggiungere il 15%.
Con il risultato, per l’industria, di offrire un contributo negativo alla dinamica del prodotto interno lordo, previsto in riduzione del 3,5% nel primo trimestre, del 6,5% nel secondo.
Al netto del diverso numero di giornate lavorative il calo dell’output di marzo rispetto a febbraio è del 9% ma a contare più che mai oggi è il dato grezzo, che di fatto certifica l’evaporazione di un terzo dell’output.
Conseguente è anche la dinamica degli ordini, che in volume a marzo si riducono del 7,6% rispetto a febbraio, calo che su base annua sale al 12,6%.
Se confermato dai dati Istat, il crollo dell’attività stimato per marzo (-16,6%) rappresenterebbe il più ampio calo mensile da quando sono disponibili le serie storiche di produzione industriale, cioè dal 1960. Portando i livelli assoluti in linea con quanto accadeva a marzo 1978.
L’arretramento stimato nel primo trimestre sarebbe invece il più ampio dall’inizio del 2009, nel pieno dell’esplosione della grande crisi finanziaria globale innescata della bolla dei mutui subprime negli Stati Uniti.
Le misure di contenimento e contrasto del virus - spiega la nota - hanno determinato un doppio shock negativo: dal lato della domanda, con il rinvio delle decisioni di spesa dei consumatori, la chiusura di numerose attività commerciali, l’azzeramento dei flussi turistici; dal lato dell’offerta, con il blocco di numerose attività produttive. Con il risultato di avvitare l’economia italiana in una recessione che sarà profonda e la cui durata dipenderà dai tempi di uscita dall’emergenza.
Fino a febbraio l’impatto delle misure di contenimento della diffusione in Italia del Covid-19 risulta essere ancora limitato nell’industria. A marzo la situazione è rapidamente peggiorata, in linea con l’aumento dei contagi, con la chiusura del 57% delle attività industriali (48% della produzione) a partire dal 23 marzo. E il restante 43% di imprese , con l’eccezione di alimentari e farmaceutica, a lavorare ad un ritmo comunque molto ridotto. Per effetto della ridotta domanda, delle difficoltà della logistica, del parziale blocco delle attività nei principali partner commerciali.
Anche se le indagini qualitative non intercettano del tutto il quadro creato con gli ultimi provvedimenti il trend è comunque chiaro: il PMI manifatturiero è sceso sui valori più bassi da undici anni (a 40,3, da 48,7 di febbraio), con produzione ai minimi storici (27,8) e nuovi ordini sui livelli della primavera 2009 (31,1). Così come ai minimi dal 2013 è la fiducia delle imprese.
A conferma della drammaticità del momento - osserva Confindustria - vi sono anche le stime dell’istituto tedesco di ricerca economica Ifo. Che nell’ipotesi di una chiusura parziale dell’attività economica in Italia per due mesi stima un calo del Pil tra 8 e 13,1 punti percentuali, a seconda dello scenario.
Con ogni settimana aggiuntiva di estensione dello stop ad aggravare la situazione tra lo 0,8 e l’1,5% del prodotto. Ipotesi anche più cupe rispetto a quanto stimato mercoledì da Viale dell’Astronomia.