Un negozio su tre a rischio in Lombardia
Un’analisi Confimprese rivela il sentiment negativo degli imprenditori
Accese. Accese. Spente. Ecco come potrebbero essere le luci delle vetrine di una via dello shopping o in un centro commerciale in Lombardia a causa della mancanza di liquidità. Un negozio del commercio moderno su tre al termine dell’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia cinese non riaprirà. È quanto emerge da una analisi svolta dal Centro studi Confimprese sugli associati in vista di una futura riapertura nel dopo Covid-19.
La totalità dei soci dichiara di avere perso il 90% dei ricavi, pari a un mese di chiusura forzata. Il 30% pensa poi che a causa dell’emergenza Coronavirus non riaprirà più per mancanza di liquidità, il 13% conta di riaprire tutti i punti vendita mentre il 57% non lo sa ancora. Una risposta, quest’ultima, che sottolinea lo stato di incertezza in cui si muove la maggior parte delle aziende ora in una zona d’ombra che, solo con il riavvio delle attività commerciali, potrà essere sciolta.
Di certo alcuni punti vendita non rialzeranno le saracinesche.
Annamaria Pierro, ad Camomilla Italia (abbigliamento) con 220 punti vendita in Italia, ipotizza due scenari: in quello ottimistico prevediamo di non riaprirne una decina ma in quello peggiore saranno una quarantina. «Temiamo che ci saranno degli esuberi perché il settore viene da un ciclo di contrazione dei consumi che ha colpito soprattutto la moda». Il domani è in funzione di quando avverrà il rientro a una certa normalità: nel primo caso potrebbe essere nei primi giorni di maggio ma nel quadro più negativo «penso a metà maggio perché oltre non oso pensare» sottolinea l’ad. Aziende in emergenza economica legata ai flussi di cassa per pagare la merce ora in magazzino e gli affitti. «Nello scenario peggiore avremo perso un centinaio di giornate di incasso - continua Annamaria Pierro -. Per questo chiediamo allo Stato di farsi garante verso il sistema creditizio per aiutarci a ripartire e soprattutto a fare ripartire i consumi delle famiglie perché temiamo una ripartenza molto lenta». La collezione primaverà ormai è considerata persa e si spera di vendere quella estiva ma ci sono grossi interrogativi sulle attitudini di spesa nel dopo Covid-19.
La poca liquidità resta in cassa perché per ora gli affitti non vengono pagati. «Nelle vie commerciali chiediamo alle proprietà sconti e dilazioni di pagamento mentre nei centri commerciali con Confimprese cerchiamo di trovare con le proprietà delle soluzioni eque».
«Abbiamo bloccato i pagamenti per i negozi nei centri commerciali e alla riapertura rinegozieremo canoni e spese generali - aggiunge Franco Chiarizio, direttore sviluppo franchising di Primadonna (calzature) attivi con 380 negozi in tutta
Italia -. Negli altri casi abbiamo chiesto alle proprietà di rivedere al ribasso i canoni».
Chiarizio teme che qualche affiliato sia costretto a chiudere ma se il blocco delle attività continuerà fino alla seconda metà di maggio un 510% degli affiliati non sarà in grado di riaprire. A preoccupare è il volume di merce che rischia l’invenduto. «La merce è ferma nei magazzini e il rischio è altissimo. La paura è che a fine anno i conti chiuderanno in profondo rosso». L’interrogativo è come gli italiani si comporteranno al termine delle crisi sanitaria. «Chiedo al premier di continuare a dare un forte, deciso supporto monetario alle famiglie e alle imprese» dice Chiarizio. La riapertura del retail potrebbe essere agevolata da un concreto pacchetto di provvedimenti legislativi, ispirati al modello francese, con la sospensione degli affitti per il periodo di chiusura imposto e obbligatorio degli esercizi commerciali - aggiungono da Confimprese -. Alla riapertura sarà necessario rinegoziare un periodo di canoni calmierati, possibilmente solo sulla percentuale del fatturato fino a quando il mercato non si riprende mentre nei centri commerciali il contratto è di affitto di ramo d’azienda che non gode dei benefici del credito d’imposta al 60%.