Corporate Italia, per il dopo virus servirà capitale per 42 miliardi
Il virus lascerà dietro di sé la necessità per le aziende italiane di aumenti di capitale e interventi per ripianare le perdite: una carenza da 42 miliardi.
Una fetta importante di società italiane, dopo la crisi, avrà bisogno di aumenti di capitale e altri interventi per ripianare le perdite (si vedano anche gli articoli a pagina 24). Il numero sotto i riflettori, per le future carenze patrimoniali, è di circa 42 miliardi di euro. Dopo la crisi sanitaria, proprio per affrontare la richiesta di equity delle aziende, potrebbero aprirsi numerose operazioni di fusione ed acquisizione: sia aggregazioni tra gruppi industriali, sia apporto di capitale da parte di investitori finanziari.
È quanto emerge da uno studio della società di consulenza Scouting Capital Advisors su un campione nazionale formato da circa 445 mila società di capitali, piccole e grandi, con patrimonio netto positivo a fine 2018.
Il lavoro è stato effettuato per stimare l’ampiezza della voragine finanziaria aperta dal Covid 19 e capire se le risorse messe in campo dal Governo possano essere sufficienti per dare risposta alla crisi di liquidità indotta dal «lockdown» garantendo in tale modo la continuità delle aziende.
Secondo la ricerca il 22,5% delle società analizzate (pari a circa 100 mila società) registrerebbe perdite economiche nel 2020 tali da erodere completamente il patrimonio netto: determinando la necessità di un aumento di capitale. L’ammontare complessivo di quest’ultimo risulta, appunto, pari a 42 miliardi di euro. Questo valore mette in luce lo sforzo che dovranno mettere in campo gli azionisti e, al medesimo tempo, l’opportunità di valutare soluzioni contabili alternative, come le rivalutazioni degli asset di bilancio.
Quest’ultimo aspetto risulta di particolare importanza per garantire la sopravvivenza delle società e scongiurare il default delle 100 mila società individuate. Queste ultime, complessivamente, hanno in bilancio debiti finanziari per 73,5 miliardidi euro, che se non rimborsati comporterebbero un sensibile aumento dello stock di non performing loan bancari, faticosamente ridotti sotto i 150 miliardi lordi rispetto al picco di 341 miliardi registrato nel 2015.
Se il processo di rafforzamento patrimoniale sarà un elemento imprescindibile per non causare default e dunque non impoverire il tessuto produttivo italiano, appare infine utile approfondire quale sarebbe l’impegno richiesto alle singole aziende. Emerge che, in media, oltre il 47% delle aziende sarebbe chiamato ad un aumento di capitale inferiore a 50 mila euro mentre, dall’altro, il 7,2% dovrebbe mettere mano a risorse proprie per oltre 700 mila euro. È evidente, pertanto, che le risposte non potranno che concretizzarsi con modalità diverse: aumento di capitale da parte degli attuali soci, apertura del capitale a terzi, alleanze e aggregazioni, unite a possibili soluzioni contabili di rivalutazione degli asset. In questa ottica è possibile che, terminata la crisi sanitaria, ci sia spazio per operazioni di fusione e acquisizione sia tra gruppi strategici sia operazioni di ristrutturazione del debito con fondi di turnaround sia infine transazioni che porteranno all’ingresso nel capitale di operatori di private equity.
In questo contesto, Scouting ha sviluppato un approfondimento con l’obiettivo di indagare non soltanto l’impatto della crisi sul bisogno di capitale, ma anche sulla cassa necessaria nel breve periodo. In uno scenario 2020 di stress – in base alle ipotesi formulate che ipotizzano già un deciso supporto statale tramite la cassa integrazione – sale al 28,4% l’incidenza delle aziende in crisi di liquidità per un fabbisogno finanziario complessivo che arriva a 86,8 miliardi. Data la mole delle risorse finanziarie necessarie, solo parzialmente coperta dalla necessaria iniezione di nuovo equity già evidenziata, è utile identificare la dimensione unitaria della finanza aggiuntiva che potrebbe essere richiesta al sistema bancario.
La metà delle società in deficit troverebbe soluzione con nuove linee di finanziamento di importo unitario inferiore a 50 mila euro. Solo il 2% delle società (circa 9.200) avrebbe bisogno di linee di importo unitario superiori a 700 mila euro. Tuttavia sarebbero proprio queste ultime società, che assorbirebbero la stragrande maggioranza delle risorse aggiuntive necessarie, oltre 76 degli 86,8 miliardi complessivi.
L’analisi consente pertanto di mettere in evidenza come per la piccola e media impresa italiana sia necessaria da parte del ceto bancario un’azione diversificata e veloce. Tra i settori più colpiti, infine, il settore edile e immobiliare, il mercato automobilistico e dei trasporti, il settore del commercio in generale, che potrebbero essere quelli che più necessiteranno di aiuti finanziari.