Espulsione? Orban torna a dividere i Popolari europei
Una crisi nella crisi sta scuotendo l’Unione Europea. Le controverse decisioni del Parlamento ungherese che hanno dato poteri emergenziali al primo ministro nazionalista Viktor Orbán hanno suscitato le proteste e le preoccupazioni dei partner europei. La spaccatura tra Paesi membri e in seno allo stesso Partito popolare europeo è emersa fortissima, e mette in dubbio in un momento già delicatissimo per via della pandemia influenzale l’assetto comunitario.
Tredici membri del PPE (in tutto sono 83) hanno scritto ieri al presidente del partito, Donald Tusk, per chiedere «l’espulsione di Fidesz», il partito del premier ungherese. Questo è da tempo sospeso, nella speranza che la deriva autoritaria si sarebbe arrestata. La lettera è stata firmata dai partiti popolari di Belgio, Danimarca, Repubblica Ceca, Finlandia, Grecia, Olanda, Lussemburgo, Lituania, Slovacchia, Svezia e Norvegia.
La missiva non è stata fatta propria tra gli altri dai democristiani tedeschi, dai neogollisti francesi, dagli italiani di Forza Italia e dagli spagnoli del Partido Popular. Nel 2019 quando il PPE ha discusso l’espulsione di Fidesz, optando in fin dei conti per una sospensione, il dibattito era stato accesissimo, tra coloro che volevano agire per mantenere l’integrità morale del PPE e coloro invece che pensavano di garantire la stabilità politica dell’Unione, evitando uno strappo con Fidesz.
Spiegava ieri un funzionario parlamentare: «Il presidente Tusk non metterà la questione al voto fin che non sarà sicuro di come la pensa la Cdu-Csu che per ora è cauta». I deputati Fidesz sono 12. Se espulsi, raggiungerebbero i conservatori a cui si potrebbero associare anche la Lega e Alternative für Deutschland. Il gruppo parlamentare potrebbe quindi salire da 61 a 113 deputati, e rafforzare la stessa AfD a un anno dalle prossime legislative tedesche. Si capisce la prudenza della Cdu-Csu.
Ciò detto, sempre ieri il governo federale, insieme ad altri 13 governi europei (tutti dell’Europa dell’Ovest, tra cui quello italiano, salvo quello lettone), hanno scritto una dichiarazione critica delle politiche ungheresi: «Siamo profondamente preoccupati per il rischio di violazione dei principi dello stato di diritto». Nei giorni scorsi, il parlamento ungherese ha approvato a una maggioranza dei due terzi una legge che permette al primo ministro di governare per decreto e per un tempo indefinito.
La scelta ha provocato il crollo del fiorino sui mercati valutari, tanto che la banca centrale ungherese ha dovuto alzare il costo del denaro. Da Budapest giungevano ieri segnali contradditori. Da un lato, il premier sembrava voler ammorbidire alcune scelte relative ai poteri dei sindaci nella lotta all’epidemia influenzale; dall’altro il portavoce del governo Zoltan Kovacs accusava i partner europei di “caccia alle streghe”. La spaccatura tra Est e Ovest è tornata vivissima.
Proprio ieri la Corte europea di giustizia ha sancito che Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca hanno violato la legislazione europea nel non accettare richiedenti l’asilo arrivati in Grecia e Italia. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha assicurato che «prenderà le dovute misure se necessario» e che le decisioni a Budapest saranno oggetto di «un esame minuzioso». Spetta a Bruxelles fare nuovo ricorso dinanzi alla Corte o chiamare in causa nuovamente il Consiglio.
Migranti, la Corte di giustizia europea condanna Budapest, Praga e Varsavia