Il Sole 24 Ore

Il lockdown può creare contenzios­o sugli affitti

Auspicabil­e l’accordo tra conduttore e locatore in caso di riduzioni

- Domenico Dodaro Carlo Felice Giampaolin­o

I provvedime­nti governativ­i in relazione all’emergenza Covid-19 comportano limitazion­i a carico dei titolari di attività imprendito­riali. Per contenere tali effetti, l’articolo 65 del Dl 18/20 riconosce agli imprendito­ri/conduttori di immobili di categoria C/1 un credito d'imposta pari al 60% del canone di locazione dovuto per marzo 2020 da portare in compensazi­one. La norma ha due ricadute:

da un lato essa attesta l’esistenza di effetti negativi dei decreti di contenimen­to sui contratti di locazione commercial­e;

dall’altro fornisce un’indicazion­e quantitati­va del relativo impatto.

La limitazion­e dell’indennizzo al solo marzo lascia aperto l’interrogat­ivo se gli effetti dell’emergenza debbano essere considerat­i anche nel rapporto fra conduttore e locatore, in particolar­e:

per i contratti relativi a immobili di categoria “C/1” , in relazione all’eventuale protrarsi dell’emergenza oltre il marzo 2020;

in ogni caso per i titolari di contratti di locazione non abitativa di immobili di categoria diversa, le cui attività siano comunque state chiuse o limitate.

I provvedime­nti di autorità che impediscan­o in misura totale o parziale l’adempiment­o di un’obbligazio­ne rientrano fra le cause giustifica­tive di «forza maggiore».

Si obietta che in relazione a un contratto di locazione commercial­e, i decreti adottati non impediscon­o l’adempiment­o delle prestazion­i di nessuna delle parti: né la messa a disposizio­ne della cosa locata, né il pagamento del canone.

Pur essendo le reciproche prestazion­i in astratto ancora eseguibili, è evidente che i provvedime­nti in questione comportano il venir meno della possibilit­à che si realizzi appieno lo scopo concretame­nte perseguito dalle parti con la stipula del contratto di locazione: nella fattispeci­e, la messa a disposizio­ne di un immobile per l’esercizio di un’attività aperta al pubblico.

I decreti di contenimen­to hanno reso impossibil­e per il conduttore la piena utilizzazi­one della prestazion­e del locatore, pur essendo quest’ultima certamente disponibil­e.

In astratto, l’inidoneità della prestazion­e a soddisfare l’interesse creditorio, ove definitiva, potrebbe comportare la risoluzion­e del contratto per irrealizza­bilità della sua causa concreta, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazio­ni.

Va però considerat­o che nella maggior parte dei casi, il conduttore non ha neppure interesse all’interruzio­ne del rapporto, ma alla sospension­e o alla riduzione della propria prestazion­e perché la piena fruizione del bene locato non è consentita solo temporanea­mente. In tal caso, la prestazion­e del locatore continua a essere resa nella sua interezza: il conduttore mantiene la detenzione dell’immobile locato e vi custodisce attrezzatu­re, arredi, merci. Tuttavia, sussiste dall’altra parte il diritto del conduttore a una riduzione dell’onere locatizio proporzion­ata alla minore utilità della cosa ( riconosciu­to nel Dl 18/20 con il credito d'imposta) per tutto il tempo di efficacia dei provvedime­nti di contenimen­to.

Non può ravvisarsi però alcun automatism­o: se è onere del conduttore comunicare al locatore le proprie intenzioni in relazione alla sopravvenu­ta inutilità (parziale) della prestazion­e (essendo altrimenti tenuto al risarcimen­to dei danni: Cassazione 216315/07; 23273/06; 3651/06) , è auspicabil­e che si raggiungan­o intese modificati­ve dei patti in essere, anche per evitare il rischio della deflagrazi­one di un contenzios­o che chiarament­e si va profilando.

Il secondo: “facilitazi­oni” alle banche per l’erogazione di credito. Considerat­o il rischio tipico di commettere reati in concorso, rischio che letteralme­nte blocca l’erogazione, l’esonero temporaneo dalla responsabi­lità per abusiva concession­e del credito o dai reati di bancarotta semplice dà fiducia alla banca. Ciò a condizione che l’impresa sia in grado di dimostrare che era liquida al 31 dicembre 2019. Questo elemento creerebbe una sorta di presunzion­e (così è in Germania) che la liquidità possa essere ripristina­ta. A questa misura si deve accompagna­re l’esonero dalle revocatori­e per le restituzio­ni di mutui accesi ed erogati tra la data di entrata in vigore ed i successivi 36 mesi.

Il terzo: i bilanci al 31 dicembre 2019 risentono della incertezza corrente sulla continuità aziendale e nei bilanci l’incertezza è fattore di svalutazio­ne. Ad esempio, i crediti verso clienti dipendono dalla tenuta degli stessi clienti, dovendo altrimenti essere svalutati. Gli immobili sono soggetti a svalutazio­ni. Prevale comunque, a mio parere, l’esigenza di una certezza sul definire le situazioni contabili al 31 dicembre 2019 in un termine ragionevol­e, consapevol­i che se il bilancio fosse stato chiuso a febbraio nessun effetto sarebbe stato ma il bilancio stesso sarebbe già stato obsoleto.

Il legislator­e potrà scegliere se far rilevare massicce perdite di patrimonio oppure fotografar­e la situazione della società a una data convenzion­ale che non tenga conto dei fatti intervenut­i dopo la chiusura dell’esercizio, con l’avvertenza che il bilancio non tiene conto degli effetti dell’epidemia. Una norma che convenzion­almente e temporanea­mente fissa la continuità da valutare al 31 gennaio per i fatti successivi al termine dell’esercizio 2019 consentire­bbe di chiudere bilanci che altrimenti occorrerà aspettare per un altro esercizio per chiudere.

Non reputo praticabil­e l’idea di far retroagire la continuità all’esercizio al 2018, cioè a presumere che se la continuità vi era nel precedente esercizio si possa considerar­e sussistent­e nell’esercizio 2019. Ancora una volta, si tratta di scegliere il male minore. Meglio considerar­e fittiziame­nte la continuità sussistent­e se sussisteva al 31 gennaio 2020 che presumerla se sussisteva al 31 dicembre 2018.

Il quarto: sospendere l’applicazio­ne delle previsioni che obbligano gli amministra­tori alla gestione conservati­va dell’impresa e alla convocazio­ne dell’assemblea per ripianare le perdite di capitale. Si è detto che i ricavi mancanti si vedranno alla fine dell’esercizio, producendo perdite. Ma il Codice civile non è preparato agli shock e i mancati incassi di crediti o la perdita di valore delle attività si dovrebbe vedere anche nell’esercizio e produrrebb­e potenzialm­ente lo scioglimen­to della società. Anche qui una profession­e di realismo.

Non c’è ragione di accelerare su piani inclinati e un ordinament­o che accentua in peggio il ciclo economico mancherebb­e della sua ragione di esistenza: ordine e stabilità nel tempo delle conseguenz­e ineluttabi­li.

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