Il lockdown può creare contenzioso sugli affitti
Auspicabile l’accordo tra conduttore e locatore in caso di riduzioni
I provvedimenti governativi in relazione all’emergenza Covid-19 comportano limitazioni a carico dei titolari di attività imprenditoriali. Per contenere tali effetti, l’articolo 65 del Dl 18/20 riconosce agli imprenditori/conduttori di immobili di categoria C/1 un credito d'imposta pari al 60% del canone di locazione dovuto per marzo 2020 da portare in compensazione. La norma ha due ricadute:
da un lato essa attesta l’esistenza di effetti negativi dei decreti di contenimento sui contratti di locazione commerciale;
dall’altro fornisce un’indicazione quantitativa del relativo impatto.
La limitazione dell’indennizzo al solo marzo lascia aperto l’interrogativo se gli effetti dell’emergenza debbano essere considerati anche nel rapporto fra conduttore e locatore, in particolare:
per i contratti relativi a immobili di categoria “C/1” , in relazione all’eventuale protrarsi dell’emergenza oltre il marzo 2020;
in ogni caso per i titolari di contratti di locazione non abitativa di immobili di categoria diversa, le cui attività siano comunque state chiuse o limitate.
I provvedimenti di autorità che impediscano in misura totale o parziale l’adempimento di un’obbligazione rientrano fra le cause giustificative di «forza maggiore».
Si obietta che in relazione a un contratto di locazione commerciale, i decreti adottati non impediscono l’adempimento delle prestazioni di nessuna delle parti: né la messa a disposizione della cosa locata, né il pagamento del canone.
Pur essendo le reciproche prestazioni in astratto ancora eseguibili, è evidente che i provvedimenti in questione comportano il venir meno della possibilità che si realizzi appieno lo scopo concretamente perseguito dalle parti con la stipula del contratto di locazione: nella fattispecie, la messa a disposizione di un immobile per l’esercizio di un’attività aperta al pubblico.
I decreti di contenimento hanno reso impossibile per il conduttore la piena utilizzazione della prestazione del locatore, pur essendo quest’ultima certamente disponibile.
In astratto, l’inidoneità della prestazione a soddisfare l’interesse creditorio, ove definitiva, potrebbe comportare la risoluzione del contratto per irrealizzabilità della sua causa concreta, con esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni.
Va però considerato che nella maggior parte dei casi, il conduttore non ha neppure interesse all’interruzione del rapporto, ma alla sospensione o alla riduzione della propria prestazione perché la piena fruizione del bene locato non è consentita solo temporaneamente. In tal caso, la prestazione del locatore continua a essere resa nella sua interezza: il conduttore mantiene la detenzione dell’immobile locato e vi custodisce attrezzature, arredi, merci. Tuttavia, sussiste dall’altra parte il diritto del conduttore a una riduzione dell’onere locatizio proporzionata alla minore utilità della cosa ( riconosciuto nel Dl 18/20 con il credito d'imposta) per tutto il tempo di efficacia dei provvedimenti di contenimento.
Non può ravvisarsi però alcun automatismo: se è onere del conduttore comunicare al locatore le proprie intenzioni in relazione alla sopravvenuta inutilità (parziale) della prestazione (essendo altrimenti tenuto al risarcimento dei danni: Cassazione 216315/07; 23273/06; 3651/06) , è auspicabile che si raggiungano intese modificative dei patti in essere, anche per evitare il rischio della deflagrazione di un contenzioso che chiaramente si va profilando.
Il secondo: “facilitazioni” alle banche per l’erogazione di credito. Considerato il rischio tipico di commettere reati in concorso, rischio che letteralmente blocca l’erogazione, l’esonero temporaneo dalla responsabilità per abusiva concessione del credito o dai reati di bancarotta semplice dà fiducia alla banca. Ciò a condizione che l’impresa sia in grado di dimostrare che era liquida al 31 dicembre 2019. Questo elemento creerebbe una sorta di presunzione (così è in Germania) che la liquidità possa essere ripristinata. A questa misura si deve accompagnare l’esonero dalle revocatorie per le restituzioni di mutui accesi ed erogati tra la data di entrata in vigore ed i successivi 36 mesi.
Il terzo: i bilanci al 31 dicembre 2019 risentono della incertezza corrente sulla continuità aziendale e nei bilanci l’incertezza è fattore di svalutazione. Ad esempio, i crediti verso clienti dipendono dalla tenuta degli stessi clienti, dovendo altrimenti essere svalutati. Gli immobili sono soggetti a svalutazioni. Prevale comunque, a mio parere, l’esigenza di una certezza sul definire le situazioni contabili al 31 dicembre 2019 in un termine ragionevole, consapevoli che se il bilancio fosse stato chiuso a febbraio nessun effetto sarebbe stato ma il bilancio stesso sarebbe già stato obsoleto.
Il legislatore potrà scegliere se far rilevare massicce perdite di patrimonio oppure fotografare la situazione della società a una data convenzionale che non tenga conto dei fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio, con l’avvertenza che il bilancio non tiene conto degli effetti dell’epidemia. Una norma che convenzionalmente e temporaneamente fissa la continuità da valutare al 31 gennaio per i fatti successivi al termine dell’esercizio 2019 consentirebbe di chiudere bilanci che altrimenti occorrerà aspettare per un altro esercizio per chiudere.
Non reputo praticabile l’idea di far retroagire la continuità all’esercizio al 2018, cioè a presumere che se la continuità vi era nel precedente esercizio si possa considerare sussistente nell’esercizio 2019. Ancora una volta, si tratta di scegliere il male minore. Meglio considerare fittiziamente la continuità sussistente se sussisteva al 31 gennaio 2020 che presumerla se sussisteva al 31 dicembre 2018.
Il quarto: sospendere l’applicazione delle previsioni che obbligano gli amministratori alla gestione conservativa dell’impresa e alla convocazione dell’assemblea per ripianare le perdite di capitale. Si è detto che i ricavi mancanti si vedranno alla fine dell’esercizio, producendo perdite. Ma il Codice civile non è preparato agli shock e i mancati incassi di crediti o la perdita di valore delle attività si dovrebbe vedere anche nell’esercizio e produrrebbe potenzialmente lo scioglimento della società. Anche qui una professione di realismo.
Non c’è ragione di accelerare su piani inclinati e un ordinamento che accentua in peggio il ciclo economico mancherebbe della sua ragione di esistenza: ordine e stabilità nel tempo delle conseguenze ineluttabili.