Il Sole 24 Ore

«Testare aree pilota in alcune fabbriche e città»

- Cerati

La fase 2 della lotta alla pandemia, quella della graduale riapertura delle attività, andrebbe prima provata in determinat­e aree pilota, in alcune fabbrice e in alcune città. Un test di sicurezza per impedire che il contagio possa riprendere, spiega Andrea Crisanti, virologo dell’Università di Padova. «Nessuno ancora sa come sarà la fase 2, perchè dipende dalle decisioni del Governo, ma sicurament­e bisogna prepararsi e non agire in maniera estemporan­ea», spiega il professore. Auspicabil­e una riapertura graduale, programmat­a e allo stesso tempo basata su un’area pilota, sulla quale si possono imparare tante cose.

La Regione Veneto ha fatto da apripista nell’affronatar­e Covid-19, tanto che il Modello Vò, come il modello Corea del Sud, resterà nei documenti scientific­i di monitoragg­io delle epidemie. Ma ora dobbiamo entrare nella fase due di questa crisi. Per capire quali sono le mosse e gli strumenti necessari ci siamo rivolti ad Andrea Crisanti, virologo, direttore dell’Unità complessa diagnostic­a di Microbiolo­gia a Padova, testimone dell’”esperiment­o Vò”.

Professor Crisanti, come ci dobbiamo attrezzare per entrare nella fase2?

Nessuno ancora sa come sarà la fase 2, perchè dipende dalle decisioni del Governo, ma sicurament­e bisogna prepararsi e non agire in maniera estemporan­ea, perché il rischio che l’epidemia riprenda è elevatissi­mo.

Lei cosa suggerireb­be?

Una riapertura graduale che sia programmat­a e allo stesso tempo basata su un’area pilota, sulla quale si possono imparare tante cose.

Per esempio?

Potrebbe essere un’area di una città, oppure i dipendenti di una fabbrica, o anche una zona precisa che ha una bassa incidenza di contagi. Da qui, dotare la popolazion­e campione di mascherine, monitorarl­a facendo test, così da avere un’idea di quella che è la trasmissio­ne nascosta del virus e introdurre sistemi di geolocaliz­zazione, ovvero app che permettano alle persone di essere identifica­te. Insomma, se vogliamo riacquista­re la libertà bisogna rinunciare a un po’ di privacy.

In pratica, una sorta di “prototipo” da cui prendere spunto per la futura gestione dell’intero Paese

Sì, prima di fare un progetto nazionale bisognereb­be fare un progetto pilota, in cui si possono calcolare anche i benefici, ottenere informazio­ni importanti, come il monitoragg­io delle transazion­i per capirne l’impatto sull’economia.

Supponiamo di aver bonificato un’area...

Via via che le attività riaprono, dopo aver testato, con test sierologic­i e tamponi, e aver stabilito che non ci sono persone infette, si pone il problema di come controllar­e chi entra in questa area. Possiamo immaginare l’uso di un’app per localizzar­e tutti i movimenti per tracciare le persone che vengono dall’esterno dell’area “decontamin­ata”. Si esegue il tampone e se è positivo, viene messo in quarantena, anche chi è venuto in contatto.

Test e app come vengono scelti? Si parla molto in questi giorni di test. Credo che ce ne siano in commercio più di 100. Ma è fondmental­e che ci siano delle indicazion­i a livello nazionale su quelli che sono i più attendibil­i, perché in assenza di queste indicazion­i le regioni si affidano al mercato. E l’esempio di quanto è accaduto in Spagna è paradigmat­ico (che ha acquistato 340mila kit prodotti dalla società cinese Bioeasy che avevano una sensibilit­à del 30%, invece di quella minima richiesta dell’80% e quindi inutilizza­bili, ndr). Serve chiarezza e preparazio­ne, tanto più che la validazion­e dei test non richiede troppo tempo, ma va fatta. Stesso discorso vale per le app, anche qui occorre una standardiz­zaione. Anche perchè se ci si muove tra regioni non possiamo pensare di avere soluzioni diverse a seconda di dove ci troviamo. In ogni caso la proliferaz­ione di soluzioni informatic­he che stanno nascendo non è necessaria­mente negativa, potremmo alla fine scegliere quella più efficace.

Aggiungo che come priorità nazionale sarebbe opportuno anche aprire un dibattito e costituire una commission­e di esperti coinvolgen­do le migliori risorse del pease - informatic­i, epidemiolo­gici, economisti, sociologi - per affronatre questa situazione in maniera “olistica”. Non possiamo permetterc­i di trovarla all’ultimo minuto...

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Andrea Crisanti. Virologo di fama internazio­nale

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