Il Sole 24 Ore

La pmi che rischia di chiudere con il cassetto pieno di ordini

La milanese Cati aumenta il fatturato del 40% ma non viene pagata dai clienti

- Lello Naso

Cadere, rialzarsi, cadere ancora, rialzarsi ancora. E quando il peggio sembra alle spalle rivedere il baratro. È la storia di Cati, una piccola impresa di Opera, primo hinterland milanese. Una storia comune a tantissime pmi della subfornitu­ra manifattur­iera che scrivono al servizio Sos Liquidità del Sole 24 Ore. «Avevamo appena superato la crisi del 2008 e gli strascichi di quella del 2000. Nel 2019 il fatturato è aumentato del 40% e abbiamo messo ordini in cantiere fino a ottobre. Anche con il lockdown non ci siamo fermati perché siamo in una filiera strategica. Ma nessuno ci paga più. Rischiamo di morire con il portafogli­o ordini pieno». Litiana Malavasi, socia con il fratello Cristiano dell’azienda di famiglia, è scorata.

Cati da cinquanta anni produce gli scambiator­i delle centrali termiche per la chimica, la meccanica, le macchine utensili. È fornitrice di pmi e multinazio­nali, di impiantist­i e società di ingegneria. Ha trenta dipendenti, fatturato 2019 poco sopra i tre miioni.

«Le crisi del 2000 e del 2008 hanno lasciato macerie importanti nei nostri conti», racconta Litiana Malavasi. «Il film è sempre lo stesso. Le imprese clienti iniziano a non pagarci perché a loro volta non vengono pagate dal cliente finale. Tra il 2000 e il 2008 abbiamo accumulato crediti da imprese fallite per due milioni di euro. Due terzi del fatturato,un macigno enorme. Ma ne stavamo venendo fuori».

Il fratello Cristiano si occupa della produzione e delle attività commercial­i:«Costruiamo impianti che costano mediamente 50mila euro, ma si arriva a 200mila euro. Non sono cifre enormi, ma se si blocca il flusso dei pagamenti si rischia subito il collasso. Alcuni nostri clienti ci dicono che anche Fca, di cui sono fornitori, ha bloccato i pagamenti. Stento a crederci. C’è chi ne approfitta. In ogni caso siamo costretti a produrre: è l’unico modo per riattivare la liquidità».

Litiana torna al nocciolo della questione. «A maggio ci servono 75mila euro. Dobbiamo pagare i fornitori, che altrimenti non ci danno il materiale, e i trenta dipendenti. Per noi può essere l’inizio di una crisi di liquidità irreparabi­le».

Litiana sta facendo il giro delle banche. «Unicredit, il nostro istituto di riferiment­o, ci aveva bloccato l’anticipo fatture e aveva ventilato la chiusura dell’affidament­o. Il decreto Cura Italia ha riaperto tutto, ma di nuova liquidità non se ne parla. Abbiamo un debito tributario pesante e il patrimonio si è assottigli­ato, è vero. Ma io, mio papà e mio fratello abbiamo dato tutte le fidejussio­ni personali possibili. Ci siamo rivolti a Intesa. Stiamo istruendo la pratica di finanziame­nto. Speriamo che la situazione venga compresa. Serve un minimo di prospettiv­a ma non c’è tantissimo tempo. Senza liquidità immediata, stavolta rischiamo di non superare la crisi. Non possiamo chiudere con il cassetto pieno di ordini».

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