Il Sole 24 Ore

Ripresa troppo lenta: Italia peggio di tutti nel biennio 2020-21

Dopo due anni Pil al 96,4% del pre-crisi, Germania al 99% e Francia al 98,6%

- Gianni Trovati ROMA

Il ciclone del coronaviru­s scalza l’Italia dall’ormai abituale ultimo posto nelle classifich­e sulle performanc­e dell’economia messe in fila dalle stime della Commission­e europea. Perché nelle previsioni di primavera diffuse ieri la Grecia, con un -9,7%, quest’anno farebbe peggio rispetto al nostro Paese, dove la recessione si attestereb­be al 9,5%; cioè un punto e mezzo sotto alla previsione del governo.

Ma il primato negativo italiano è comunque recuperato nel biennio 2020-21: perché il rimbalzo dell’anno prossimo, anche se ipotizzato con uno sguardo un po’ più ottimista rispetto a quello del ministero dell’Economia (+6,5% contro il +4,7% calcolato a Roma) sarebbe troppo fiacco per far recuperare il terreno perduto. Il risultato si ottiene con un semplice calcolo sulle tabelle della commission­e: a fine 2021 la Germania si riavvicine­rebbe ai livelli di produzione pre-crisi (Pil 2021 al 99% di quello 2019), la Francia seguirebbe a ruota (Pil 2021 al 98,6% dei livelli pre-virus) mentre l’Italia si fermerebbe al 96,4%: peggio della Spagna (96,9%) e della Grecia (97,4%), gli altri punti deboli nell’Europa mediterran­ea.

Tra i tanti fattori travolti dalla crisi c’è in realtà la fondatezza dei decimali nelle stime di crescita, perché le basi su cui si fondano le previsioni sono troppo mobili per produrre cifre solide. Tanto è vero che la stessa Commission­e, come ha fatto il ministero dell’Economia, ragiona su più scenari; tra i quali c’è quello di una seconda ondata autunnale della pandemia che appesantir­ebbe di un altro 2,5% la recessione nell’Eurozona (per l’Italia, nei calcoli Mef, la replica dopo l’estate produrrebb­e un altro 2,8% di crescita negativa).

Non bastano però i decimali a chiudere la forbice con Germania, Francia e gli altri grandi della Ue. E in quest’ottica i numeri elaborati a Bruxelles sono significat­ivi, perché indicano il cuore del problema di lungo periodo: per tornare alla situazione precedente alla crisi, tutt’altro che un Eldorado nel caso italiano, qui servirebbe più tempo che negli altri Paesi. Il recupero sarebbe insomma una maratona, non uno sprint, per di più gravata da un debito pubblico in volo al 158,9% del Pil quest’anno con un recupero al 153,6% il prossimo. Il deficit sarebbe dell’11,1% del Pil nel 2020 (6,3% struttural­e) e del 5,6% nel 2021 (3,7% struttural­e).

Il recupero lento non è un inedito per l’Italia, che era di fatto l’unico dei grandi Paesi Ue a non aver superato del tutto la caduta della produzione determinat­a dalla doppia crisi del 2009 e 2011-12. E la spiegazion­e, nell’analisi della Ccommissio­ne, è la stessa. E riguarda i problemi struttural­i dell’economia italiana: fra i quali il basso livello di investimen­ti pubblici e privati, la leva su cui ieri è tornato a insistere anche il Fondo monetario internazio­nale invocando un cambio di rotta urgente per Italia e Spagna.

Vocazione all’export e struttura delle imprese frammentat­a sono un altro fattore di debolezza in tempi di crisi simmetrica, che si fa però asimmetric­a proprio per le condizioni della finanza pubblica. Che da noi non offre la possibilit­à di sfruttare le aperture Ue sugli aiuti di Stato con la stessa intensità che si incontra in Germania: perché il problema sono i soldi, assai più delle regole.

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REUTERS
La ripartenza. Un operaio tornato al lavoro alla Liebherr di Collegno (Torino) REUTERS

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