Il Sole 24 Ore

Petrolio, la produzione crolla anche in Russia

L’Arabia Saudita non taglia più da sola: anche dagli Usa arriva l’aiuto promesso

- Sissi Bellomo

Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti. I tre colossi mondiali del petrolio hanno iniziato a ridurre la produzione. E per la prima volta non solo lo stanno facendo insieme, ma i tagli sono importanti e appaiono distribuit­i in modo equo: una novità assoluta, frutto della crisi senza precedenti del settore dell’Oil & Gas più che di scelte politiche, ma che traduce in realtà il patto di collaboraz­ione stretto un mese fa nell’ambito del G20, con risultati che appaiono già visibili anche sui prezzi. Il Brent ha raddoppiat­o di valore in una settimana, anche se ieri ha interrotto il rally per ripiegare a 29 $.

La Russia – che in passato aveva sempre violato, almeno in parte, gli impegni con l’Opec – ha ridotto le estrazioni di greggio di quasi 2 milioni di barili al giorno dall’inizio di maggio: una chiusura rapidissim­a, mai sperimenta­ta prima, grazie alla quale ha già quasi raggiunto l’obiettivo concordato di 8,5 mbg. Dagli 11,35 mbg di aprile, secondo fonti Reuters, Mosca è scesa a 9,50 mbg, che diventano 8,75 mbg al netto dei condensati (esclusi dai tagli Opec Plus). La stretta, se confermata, fa cadere ogni alibi invocato in passato per schivare i tagli: il leit motiv era che i giacimenti russi non potevano sopportare un calo di produzione eccessivo perché con il gelo gli impianti si sarebbero rovinati. È vero che ora è quasi estate, ma evidenteme­nte chiudere i rubinetti in modo drastico non è del tutto impossibil­e. L’alternativ­a è che si tratti di una scelta masochista dettata dalla disperazio­ne: la Russia è in grado di stoccare solo 8 giorni della sua produzione, stima IHS Markit, contro i 18 giorni dell’Arabia Saudita (che dispone di grandi depositi anche all’estero) e i 30 giorni degli Stati Uniti.

Anche gli stoccaggi americani oggi rischiano di traboccare. E anche il petrolio «made in Usa» è in ritirata come quello russo: il calo di produzione supera già 1 mbg e ci sono ulteriori tagli in arrivo, sufficient­i a raddoppiar­lo in poche settimane. Exxon, Chevron e ConocoPhil­lips da sole hanno annunciato una stretta da 660mila bg entro giugno negli Usa. Molte società di shale oil intanto fermano le trivelle. Il North Dakota (dove c’è l’area di Bakken) ha già perso 450mila bg, più di un terzo dell’output, secondo le autorità locali. In Texas – patria di Permian e primo Stato petrolifer­o degli Usa con 5,4 mbg a febbraio – si estraggono 700mila bg in meno, stima Ryan Sitton della Texas Railroad Commission. Il commissari­o ha dovuto rinunciare al piano per tagli coordinati, ma con le leggi di mercato si arriva allo stesso risultato.

Anche l’Arabia Saudita sta chiudendo i rubinetti, con l’obiettivo di abbassare la produzione a 8,5 mbg dagli 11,4 mbg di aprile, ma che Riad tenga fede agli accordi dell’Opec Plus non è una notizia: il gigante del Golfo Persico è da sempre lo «swing producer». La vera novità è che non deve più farsi carico anche dei tagli assegnati ad altri, una vittoria in cui forse gli stessi sauditi non avevano osato sperare e che si somma ai successi ottenuti con la guerra dei prezzi. Inondando i clienti di greggio superscont­ato, Saudi Aramco ad aprile ha strappato quote di mercato ai concorrent­i, scrive Bloomberg: l’export verso la Cina è raddoppiat­o, quello verso l’India è salito ai massimi da 3 anni.

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