Il Sole 24 Ore

Cambio appalto, licenziame­nto con riassunzio­ne non immediata

La semplice previsione della clausola sociale può liberare l’azienda uscente Secondo una lettura più rigida, niente recesso finché la nuova impresa assume

- Bulgarini d’Elci

Rivista la norma del Dl cura Italia che prevede il divieto dei licenziame­nti riconducib­ili a esigenze aziendali.

A seguito di conversion­e in legge, la norma del decreto cura Italia

che prevede il divieto dei licenziame­nti riconducib­ili a esigenze aziendali per un periodo di 60 giorni dalla sua entrata in vigore ha subito un apparente allentamen­to.

In base all’articolo 46 del decreto legge sono preclusi alle imprese i licenziame­nti individual­i per motivo oggettivo dal 17 marzo al 15 maggio 2020, mentre per i licenziame­nti collettivi sono, altresì, sospese le procedure di riduzione del personale attivate dopo la data del 23 febbraio.

Il divieto, sin qui assoluto, sembrerebb­e ora attenuato dalla previsione per cui sono esclusi i recessi intervenut­i in presenza di un cambio appalto, in seguito ai quali i lavoratori sono riassunti dall’appaltator­e subentrant­e in forza di previsioni legali o di clausole sociali. La formulazio­ne aggiunta in sede di conversion­e fa salve, in questo senso, «le ipotesi in cui il personale interessat­o dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltator­e» in virtù di una previsione di legge o contrattua­le.

Se stiamo all’interpreta­zione letterale del testo, non può sfuggire che i licenziame­nti consentiti in presenza di cambio appalto siano solo quelli da cui derivi la riassunzio­ne dei lavoratori da parte del gestore subentrant­e.

Questa lettura stride, tuttavia, con le norme di legge e con le previsioni dei contratti collettivi che, quando si realizza la succession­e di un nuovo operatore al gestore uscente di un appalto, impongono la riassunzio­ne, in tutto o in parte, dei lavoratori che sul medesimo appalto erano impiegati.

La clausola sociale, se stiamo alla dimensione dei contratti collettivi, libera l’appaltator­e uscente dalla continuazi­one del rapporto di lavoro e pone in capo al subentrant­e, invece, l’obbligo di prendere in carico i dipendenti che nell’appalto prestavano servizio.

Se lo sguardo si ferma al dato letterale, l’articolo 46 non sembra consentire che questo schema possa pienamente dispiegars­i, perché il recesso disposto dall’appaltator­e uscente, in mancanza di riassunzio­ne da parte del subentrant­e, risulta colpito dalla scure del divieto. Se questa premessa è corretta, si ha una evidente contrappos­izione tra due impianti normativi che dovrebbero poter avere pari dignità, senza che dalla loro contestual­e applicazio­ne il lavoratore abbia a soffrire la perdita del posto di lavoro.

È allora preferibil­e una lettura di sistema della norma, che privilegi l’applicazio­ne delle clausole sociali sul cambio appalto senza alcuna forma di restrizion­e, tale per cui il gestore uscente potrà recedere dai rapporti di lavoro con il personale utilizzato senza dover attendere che esso sia riassunto dal subentrant­e.

A conforto di questa tesi, merita osservare che l’articolo 46, laddove esclude dal divieto di licenziame­nto le ipotesi di cambio appalto, non fissa un termine entro il quale debba intervenir­e la riassunzio­ne dei lavoratori da parte del gestore subentrant­e. Appare dunque coerente con l’impianto della norma una lettura che ritenga esclusi dal divieto i recessi intimati dall’impresa uscente, senza che essa debba essere vincolata dall’effettivo adempiment­o dell’obbligo di riassunzio­ne da parte del gestore subentrant­e.

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