Quel valore pubblico che può nascere dai movimenti personali
I dati sui movimenti delle persone si stanno rivelando una risorsa importantissima per capire le dinamiche dell’epidemia di Covid-19. Il dibattito sul tema, in Italia, si è concentrato soprattutto sulla app Immuni per il tracciamento digitale dei contatti, ma in realtà vari team di data scientist nel nostro paese utilizzano informazioni sulla mobilità dei cittadini per studiare una serie di fenomeni connessi al contagio.
Un esempio è lo studio congiunto condotto da ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, del Politecnico di Milano, dell’Istituto per i Sistemi Complessi del Cnr e dell’Università di Brescia sulle conseguenze economiche e sociali delle restrizioni alla mobilità durante Covid-19. «Abbiamo utilizzato - spiega Walter Quattrociocchi, che coordina il laboratorio di Data science e complessità a Ca' Foscari -, dati anonimizzati forniti da Facebook sulla mobilità dei cittadini. In pratica tutto il territorio italiano è stato scomposto in una rete di nodi, corrispondenti a celle di circa 500 metri di lato. Facebook ogni otto ore conta quante persone si trovano all’interno delle celle: la differenza tra un rilevamento e l’altro ci consente di capire il traffico tra una cella e l’altra. Da qui siamo partiti per ricostruire giorno per giorno la mobilità a livello di ogni singolo comune e gli spostamenti tra un comune e l’altro».
I dati così ottenuti sono stati incrociati, spiega Fabio Pammolli, professore di Economia e gestione al Politecnico di Milano, «con indicatori sintetici dello stato economico dei comuni italiani, come per esempio i dati sul reddito pro capite desunti dalle dichiarazioni Irpef». Risultato? «Dall'analisi abbiamo visto come la contrazione della mobilità tenda a essere maggiore nei comuni che hanno un reddito pro capite più basso e in quelli con indici più elevati della disuguaglianza di distribuzione del reddito. Sono due indizi dell’effetto delle misure di lockdown sulla popolazione. Non ancora una prova, per la quale occorrerebbero analisi con dati più fini, ma comunque due risultati indicativi». Di che cosa? Del fatto che un provvedimento come il lockdown, apparentemente neutrale perché uguale per tutti, possa produrre effetti asimmetrici, cioè colpire di più alcune categorie di cittadini rispetto ad altre.
Questo ci dice molto del ruolo che la data science potrebbe avere in situazioni di emergenza. Mai come ora, infatti, chi è chiamato a prendere provvedimenti per il suo ruolo di governo, nazionale o locale, può verificare praticamente in tempo reale, grazie a tecnologie basate sui dati, gli effetti delle sue decisioni sui cittadini e disporre di strumenti per valutarne gli impatti e decidere eventuali correttivi.
Una particolarità dello studio, e di altri simili, è l’utilizzo “secondario” di dati raccolti originariamente non per finalità di ricerca, ma per fare business, in particolare, nel caso specifico, di dati raccolti con il consenso degli utenti da Facebook allo scopo di fornire servizi alle imprese e poi resi disponibili alla ricerca attraverso il programma “Data for Good”. Origini simili hanno i Covid-19 Community Mobility Reports di Google o i trend della mobilità messi online da Apple.
Un altro progetto che intende misurare come è cambiato il nostro modo di spostarci è il Covid-19 Mobility Monitoring Project, condotto dalla Isi Foundation di Torino con dati anonimizzati forniti da Cuebiq, società con sede a New York ma creata da un gruppo di data scientist italiani. Cuebiq sviluppa tecnologie per estrarre dati da app di utilizzo comune e utilizzarli a fini di business, e da qualche anno ha avviato un suo “Data for Good Project” per mettere a disposizione della ricerca dataset anonimizzati.
L’innovazione introdotta dall’utilizzo secondario di grandi serie di dati raccolti sul web si traduce in una forte spinta per la data science, chiamata a dotarsi di strumenti di calcolo sempre più potenti e a riconsiderare le proprie dinamiche. Osserva Ciro Cattuto, docente dell’Università di Torino, tra gli autori del report di Isi Foundation: «Si apre un nuovo scenario in cui dati personali, raccolti da soggetti privati, generano un valore pubblico. È una trasformazione che impone scelte importanti di governance, per assicurare il rispetto della privacy ma anche la valorizzazione del dato privato a vantaggio della società. Ritaglia anche un nuovo ruolo per il cittadino, che, come fonte primaria del dato, va motivato e reso partecipe del processo attraverso una nuova forma di sorveglianza partecipativa». Una rivoluzione da cui non sono escluse istituzioni e funzioni statali, come il Servizio Sanitario Nazionale, che sempre più dovranno dotarsi di competenze di computer science, di cui normalmente sono sprovviste, per sfruttare appieno il potenziale dei dati e, soprattutto, capire come utilizzarli al meglio.
La mobilità diventa indice delle conseguenze economiche Ma anche chiave di business