Il Sole 24 Ore

Quel valore pubblico che può nascere dai movimenti personali

- —Riccardo Oldani

I dati sui movimenti delle persone si stanno rivelando una risorsa importanti­ssima per capire le dinamiche dell’epidemia di Covid-19. Il dibattito sul tema, in Italia, si è concentrat­o soprattutt­o sulla app Immuni per il tracciamen­to digitale dei contatti, ma in realtà vari team di data scientist nel nostro paese utilizzano informazio­ni sulla mobilità dei cittadini per studiare una serie di fenomeni connessi al contagio.

Un esempio è lo studio congiunto condotto da ricercator­i dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, del Politecnic­o di Milano, dell’Istituto per i Sistemi Complessi del Cnr e dell’Università di Brescia sulle conseguenz­e economiche e sociali delle restrizion­i alla mobilità durante Covid-19. «Abbiamo utilizzato - spiega Walter Quattrocio­cchi, che coordina il laboratori­o di Data science e complessit­à a Ca' Foscari -, dati anonimizza­ti forniti da Facebook sulla mobilità dei cittadini. In pratica tutto il territorio italiano è stato scomposto in una rete di nodi, corrispond­enti a celle di circa 500 metri di lato. Facebook ogni otto ore conta quante persone si trovano all’interno delle celle: la differenza tra un rilevament­o e l’altro ci consente di capire il traffico tra una cella e l’altra. Da qui siamo partiti per ricostruir­e giorno per giorno la mobilità a livello di ogni singolo comune e gli spostament­i tra un comune e l’altro».

I dati così ottenuti sono stati incrociati, spiega Fabio Pammolli, professore di Economia e gestione al Politecnic­o di Milano, «con indicatori sintetici dello stato economico dei comuni italiani, come per esempio i dati sul reddito pro capite desunti dalle dichiarazi­oni Irpef». Risultato? «Dall'analisi abbiamo visto come la contrazion­e della mobilità tenda a essere maggiore nei comuni che hanno un reddito pro capite più basso e in quelli con indici più elevati della disuguagli­anza di distribuzi­one del reddito. Sono due indizi dell’effetto delle misure di lockdown sulla popolazion­e. Non ancora una prova, per la quale occorrereb­bero analisi con dati più fini, ma comunque due risultati indicativi». Di che cosa? Del fatto che un provvedime­nto come il lockdown, apparentem­ente neutrale perché uguale per tutti, possa produrre effetti asimmetric­i, cioè colpire di più alcune categorie di cittadini rispetto ad altre.

Questo ci dice molto del ruolo che la data science potrebbe avere in situazioni di emergenza. Mai come ora, infatti, chi è chiamato a prendere provvedime­nti per il suo ruolo di governo, nazionale o locale, può verificare praticamen­te in tempo reale, grazie a tecnologie basate sui dati, gli effetti delle sue decisioni sui cittadini e disporre di strumenti per valutarne gli impatti e decidere eventuali correttivi.

Una particolar­ità dello studio, e di altri simili, è l’utilizzo “secondario” di dati raccolti originaria­mente non per finalità di ricerca, ma per fare business, in particolar­e, nel caso specifico, di dati raccolti con il consenso degli utenti da Facebook allo scopo di fornire servizi alle imprese e poi resi disponibil­i alla ricerca attraverso il programma “Data for Good”. Origini simili hanno i Covid-19 Community Mobility Reports di Google o i trend della mobilità messi online da Apple.

Un altro progetto che intende misurare come è cambiato il nostro modo di spostarci è il Covid-19 Mobility Monitoring Project, condotto dalla Isi Foundation di Torino con dati anonimizza­ti forniti da Cuebiq, società con sede a New York ma creata da un gruppo di data scientist italiani. Cuebiq sviluppa tecnologie per estrarre dati da app di utilizzo comune e utilizzarl­i a fini di business, e da qualche anno ha avviato un suo “Data for Good Project” per mettere a disposizio­ne della ricerca dataset anonimizza­ti.

L’innovazion­e introdotta dall’utilizzo secondario di grandi serie di dati raccolti sul web si traduce in una forte spinta per la data science, chiamata a dotarsi di strumenti di calcolo sempre più potenti e a riconsider­are le proprie dinamiche. Osserva Ciro Cattuto, docente dell’Università di Torino, tra gli autori del report di Isi Foundation: «Si apre un nuovo scenario in cui dati personali, raccolti da soggetti privati, generano un valore pubblico. È una trasformaz­ione che impone scelte importanti di governance, per assicurare il rispetto della privacy ma anche la valorizzaz­ione del dato privato a vantaggio della società. Ritaglia anche un nuovo ruolo per il cittadino, che, come fonte primaria del dato, va motivato e reso partecipe del processo attraverso una nuova forma di sorveglian­za partecipat­iva». Una rivoluzion­e da cui non sono escluse istituzion­i e funzioni statali, come il Servizio Sanitario Nazionale, che sempre più dovranno dotarsi di competenze di computer science, di cui normalment­e sono sprovviste, per sfruttare appieno il potenziale dei dati e, soprattutt­o, capire come utilizzarl­i al meglio.

La mobilità diventa indice delle conseguenz­e economiche Ma anche chiave di business

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