«Open e ibrido il futuro del cloud»
L’emergenza sanitaria accelera il processo di digitalizzazione delle imprese: la nuvola diventa l’abilitatore della trasformazione. Parla Paul Cormier, Ceo di Red Hat dopo l’acquisizione da parte di Ibm
Il futuro del cloud è open e ibrido. Ancora di più dopo il coronavirus. Lo dice Paul Cormier, diventato da poche settimane ceo dell’americana Red Hat, e uomo chiave nell'acquisizione da 34 miliardi di dollari in corso di finalizzazione dell'azienda da parte di Ibm, che ha portato il suo precedente ceo Jim Whitehurst a diventare il presidente di Big Blue e trasformato il panorama dell’It per le grandi aziende.
Secondo Cormier sarà infatti il cloud ibrido (cioè quello tra server remoti e in azienda) a fare da leva, dopo il coronavirus, per completare i processi di trasformazione digitale che oggi stanno avvenendo a ritmi accelerati: la pandemia ha compresso in pochi mesi quello che normalmente per essere fatto avrebbe richiesto anni di pianificazione alle imprese. Una situazione che, per chi fornisce le tecnologie, è in realtà una gigantesca opportunità di mercato. Che verrà colta dai più veloci.
«Siamo una azienda da 15mila persone – Cormier nel corso di una videointervista dalla sua casa a nord di Boston – e Ibm ne ha 300mila. Sono giganteschi, e la loro scala per noi è ottima. Adesso che tutti hanno capito che Linux ha vinto e che i container sono la tecnologia del prossimo futuro, abbiamo la dimensione per arrivare a clienti che prima non avremmo potuto mai raggiungere, per arrivare letteralmente in tutto il mercato, anche quello delle medie imprese che prima ci sfuggiva».
Red Hat è sempre stata un’anomalia: nata nel 1993 dall’idea figlia del pragmatismo della East Coast americana che fosse possibile distribuire gratuitamente il sistema operativo free Linux costruendoci attorno però un modello di business profittevole, è sostanzialmente l’ultima sopravvissuta tra le aziende che durante la New Economy avevano provato a costruire valore giocando la carta alternativa a Windows di Microsoft per le aziende. Quotata in Borsa nel 1999, è stata per anni una grande promessa, prima di diventare una sopravvissuta, con i conti a posto e un buon fatturato nell’ordine di 3,4 miliardi di dollari nel 2018, oltre a un buon naso per le tecnologie.
Oltre al sistema operativo per server Red Hat Enterprise Linux e al progetto Fedora, l’azienda ha sempre fatto acquisizioni mirate sino a entrare nel settore del cloud e della virtualizzazione. Tanto che il precedente ceo, Whitehurst, aveva stabilito che il futuro dell’azienda non sarebbe più stato riassunto dal paradigma “client-server” ma da quello “cloud-mobile”. Nel complesso quadro di tecnologie gratuite e open che Red Hat ha messo assieme e per le quali fornisce servizi e assistenza a pagamento (il suo modello di business), c’è anche lo spazio dei container e di OpenShift, la sua versione di Kubernetes, considerata la tecnologia più “calda” in questo momento. «Il cloud – dice Cormier – oggi genera moltissimo valore. Ogni cloud ha i suoi settori verticali: dall’hardware al middleware sino allo strato applicativo. La nostra strategia è dare soluzioni multicloud, che possano funzionare sui server che le aziende hanno in casa, su un cloud privato, su un sistema di cloud di settore e pubblico. La nostra offerta è unica sul mercato».
OpenShift è il gioiello della corona: si tratta di un orchestratore, cioè di un software capace di gestire e coordinare le attività di milioni di container, i piccoli contenitori digitali che rappresentano l'evoluzione più agile dei “vecchi” sistemi virtuali. Ogni contenitore viene creato per gestire un servizio, una connessione, un passaggio, e poi cancellato. Durante il suo ciclo di vita ogni contenitore deve essere coordinato con gli altri e spostato in tempo reale, per evitare colli di bottiglia e sovraccarichi. L’orchestratore, il software capace di fare questo, è la risorsa più pregiata per le aziende che stanno passando attraverso la trasformazione digitale. Averne uno “buono” è il jolly. «OpenShift è ottimo. È la nostra piattaforma per un approccio ibrido attorno a cui stiamo costruendo molti altri servizi», dice Cormier.
Stando sui container, garantisce Cormier, si possono creare nuovi modi di fare business. «L’emergenza del coronavirus ci sta insegnando ha fare di più, riciclare il codice che funziona, essere più flessibili, più aperti». I concorrenti sono come al solito “coopetition”, metà concorrenti e metà alleati. Come Microsoft: «Sono anche il nostro più grande partner. Windows è la loro base ma il cloud è futuro per
«Ogni cloud ha settori verticali: le soluzioni devono funzionare sulla struttura aziendale»
quell’azienda e noi siamo il top provider per Linux dentro Azure». Casomai la concorrenza è quella con Aws, il braccio cloud di Amazon che è anche il numero uno dei servizi sul mercato: «Ma loro da dieci anni dicevano alle aziende che bisognava portare tutto nel cloud, e adesso invece hanno commercializzato server “fisici” da mettere nei datacenter delle imprese. È molto importante che l’abbiano finalmente capito». Il futuro è ibrido, ribadisce Cormier.
E infine il rapporto con Ibm. Le due aziende stanno finalizzando l'acquisizione. Dopo, saranno separate, due strategie indipendenti «altrimenti ci perdiamo tutti i nostri partner». Il vantaggio per Red Hat è la scala dell’ecosistema Ibm e il portafoglio clienti pressoché infinito. Ma l’azienda di Armonk cosa ci guadagna? «Il nostro fatturato e i nostri utili», conclude Cormier, con il sorriso di chi ha negoziato e convinto i vertici di Ibm che l’affare sarebbe stato quello giusto per tutti.