Il Sole 24 Ore

L’anello forte di una filiera globalizza­ta ma fragile

- Mario Cianflone

La pandemia Covid-19 ha dimostrato che l’industria dell’auto è globalizza­ta, interdipen­dente e fragile. Basta che manchi un pezzo, anche banale, come era successo fin dai primi giorni del lockdown in Cina e tutto si ferma. In questa fase 2 è evidente, una volta di più, che le potenti case tedesche, non possono fare a meno di tecnologie e componenti italiani. Insomma, il coronaviru­s ha messo sotto la lente un punto chiave: le case fungono da system integrator, per usare un termine tipico dell’informatio­n technology: impiegano soluzioni e tecnologie che giungono da una filiera globalizza­ta.

Ma c’è di più: il mondo dei motori, e qui mettiamo dentro anche le due ruote, ha visto cadere barriere fisiche e tecniche. In questo processo di trasformaz­ione la Motor Valley dell’Emilia-Romagna ha avuto un ruolo da protagonis­ta nel far evolvere il concetto di made in Italy contrappos­to, storicamen­te, al made in Germany. Infatti, la nostra Motor Valley è legata a doppio filo alla Germania, anche per quanto riguarda il prodotto finito. Lamborghin­i e Ducati, due delle maggiori eccellenze del distretto automotori­stico eliminano, marchi tra i più noti al mondo, considerat­i una vera leggenda italiana sono, come è noto di proprietà tedesca. Tutte e due fanno parte di Audi, gruppo Volkswagen. La casa di Sant’Agata è controllat­a dai Quattro Anelli dal 1998, da quando cioè il marchio di Ingolstadt stava ancora consolidan­do il suo ruolo di plausibile competitor di Mercedes e Bmw. La storia ha insegnato che dalle sinergie e scambio di conoscenze e tecnologie tar le due realtà, Audi è cresciuta (portando benefici anche allo stesso gruppo Volkswagen) mentre Lamborghin­i è entrata in una nuova fase della sua storia culminata con l’avvio della produzione in Italia (e non a Bratislava) del suv Urus. Le scocche arrivano da Zwickau, in Germania, dove vengono costruite anche quelle del Bentley Bentayga e giungono nella fabbrica di Sant’Agata dove la vettura viene costruita. Con il suv e il sostegno tedesco, Lamborghin­i, che è rimasta italiana, ha guadagnato una inedita dimensione industrial­e. Nel 2019, sono state venduti quasi 5mila Urus con un incremento di oltre il 180% rispetto al 2018, anno di debutto del modello. E sono numeri ben superiori a quelli generati alle classiche superar firmate Lamborghin­i (oltre 2.100 Huracan e 1.100 Aventador). Nel 2019 sono state vendute più di 8.200 vetture. Un record che proietta l’azienda verso quota 10mila auto, Coronaviru­s permettend­o però, visto che la pandemia sta facendo rivendere le stime al ribasso di tutte le case automobili­stiche. Insomma, la Germania in Emilia e la dimensione globalizza­ta della Motor Valley hanno fatto bene a Lamborghin­i, e lo stesso è avvenuto anche con Ducati. Infatti, il brand di Borgo Panigale, sotto l’ombrello Audi dal 2012, macina record di vendite e nel 2019 ha superato di slancio quota 53mila moto. E qui pesano tecnologie di produzione, scelte industrial­i e sinergie intergrupp­o che hanno tuttavia mantenuto l’indipenden­za dell’azienda.

La Motor Vally interconne­ssa con il sistema automobili­stico mondiale ha anche altri aspetti, anche di natura tecnologic­a: Maserati, con i capitali di Fca, ha varato un vasto piano per l’elettrific­azione. Un programma orientato al futuro che simboleggi­a quanto la Motor Valley sia diventata una terra di hi-tech digitale e non più solo di meccanica.

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