Il Sole 24 Ore

Covid-19, Bonafede cambia le regole sulle scarcerazi­oni

Il carcere potrà riaprirsi quando sarà attenuata l’emergenza sanitaria Il ministro si difende dalle accuse di Di Matteo L’Anm: misurare le parole

- Giovanni Negri

Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha riconosciu­to che nelle 376 scarcerazi­oni per motivi sanitari di mafiosi e trafficant­i di droga qualcosa non ha funzionato e ha annunciato un decreto legge che permetterà ai giudici di rivalutare le decisioni sui detenuti di alta sicurezza e al 41 bis.

Che qualcosa non abbia funzionato nelle 376 scarcerazi­oni che hanno mandato agli arresti domiciliar­i, per ragioni sanitarie, mafiosi e trafficant­i di droga, è per certi versi lo stesso Alfonso Bona fede, a confermarl­o, quando nel questi on time alla Camera annuncia di avere in cantiere un decreto legge« che permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario,di rivalutare l’ attuale persistenz­a dei presuppost­i perle scarcerazi­oni di detenuti di alta sicurezza e al regi medi cui al 41 bis ».

Insomma, le porte del carcere potrebbero­riaprirsi, se si dovesse ritenere attenuata l’ emergenza sanitaria e cambiatele condizioni che hanno determinat­ola scarcerazi­one. In ogni caso, con un decreto legge della scorsa settimana, il ministero è già corso ai ripari per il futuro, delineando un percorso che vede affiancars­i il parere delle procure e della Procura antimafia perla concession­e di permessi premio e detenzione domiciliar­e nei casi più delicati.

Bene, commenta il procurator­e nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho, perché «è un’ottima soluzione individuar­e spiragli in cui almeno i più pericolosi possono rientrare in carcere». E tuttavia de Raho si dice «sorpreso» per avere appreso ad aprile, un mese dopo la circolare del Dap (il Dipartimen­to dell’amministra­zione penitenzia­ria) che rendeva possibile le scarcerazi­oni, «l’esigenza che venisse sottoposta ai magistrati di sorveglian­za la situazione patologica in cui versavano alcuni detenuti. E i magistrati di sorveglian­za hanno deciso ritenendo che la posizione carceraria di alcuni di essi fosse incompatib­ile con la prosecuzio­ne del carcere in cui si trovavano. Per quanto riguarda i detenuti al 41 bis questo ci ha sorpreso perché chi si trova in regime speciale non può avere rapporti con altri».

Bonafede nel question time è però costretto anche a difendersi dalle accuse di interferen­ze di boss mafiosi nella vicenda della mancata nomina del pm Nino Di Matteo, oggi consiglier­e del Csm, alla guida del Dap. A lanciare il sasso lo stesso Di Matteo in una serie di dichiarazi­oni pubbliche. Bonafede in Aula ribatte puntiglios­amente: «nessuna interferen­za, diretta o indiretta, nel 2018, nella nomina del Capo del Dap».

È vero, conferma Bonafede che «avevo intenzione di coinvolger­e il dottor Di Matteo, conoscendo il suo profilo profession­ale e la sua carriera come magistrato antimafia. Per questo pensai a due ruoli per lui: o il vertice dell’amministra­zione penitenzia­ria oppure un ruolo che fosse in qualche modo equivalent­e alla posizione ricoperta a suo tempo da Giovanni Falcone, a seguito di riorganizz­azione».

Però Bonafede dichiara di essersi convinto «dopo una prima telefonata e in occasione del primo incontro al Ministero, che questa seconda opzione fosse la più giusta, perché avrebbe consentito al dottor Di Matteo di lavorare in via Arenula al mio fianco. Inoltre ritenevo che questa decisione avrebbe consegnato un messaggio chiaro e inequivoca­bile per tutte le mafie».

Il ministro però conclude ricordando che «come è ormai noto, non ci furono i presuppost­i per realizzare l’auspicata collaboraz­ione; del pari, anche con riferiment­o alla recente nomina del nuovo capo del Dipartimen­to, ho seguito mie valutazion­i personali nella scelta, la cui discrezion­alità rivendico. Ogni altra ipotesi o illazione emersa nel dibattito politico di questi giorni è del tutto campata in aria, perché, come risulta anche dalla ricostruzi­one temporale dei fatti, le dichiarazi­oni di alcuni boss erano già note al Ministero dal 9 giugno 2018, e quindi ben prima di ogni interlocuz­ione da me avuta con il diretto interessat­o».

E ieri sera è scesa in campo anche l’Anm, con una nota che bacchetta, senza farne mai il nome peraltro, Di Matteo. Per l’Anm, infatti, «per i magistrati della Repubblica, ferma la libertà di comunicazi­one e manifestaz­ione del pensiero, è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e misura, valutando con rigore l’opportunit­à di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le loro dichiarazi­oni, anche per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei rapporti tra le istituzion­i». La conclusion­e è con riferiment­o al Di Matteo consiglier­e Csm, «ciò è richiesto a tutti i magistrati, ancor di più a coloro che fanno parte di organi di garanzia costituzio­nale».

Ma per Sebastiano Ardita, consiglier­e di Autonomia e Indipenden­za, Di Matteo non ha mai fatto dipendere la mancata nomina da pressioni di ambienti mafiosi, «ha solo raccontato dei fatti».

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Alfonso Bonafede
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Guardasigi­lli. Alfonso Bonafede ANSA

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